Rimanete in me e io in voi

02-05-2021 V domenica di Pasqua di don Fabio Pieroni

Gv 15,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Gesù nell’ultima cena ci ha lasciato alcuni discorsi straordinari, riportati nel vangelo di Giovanni dal capitolo 13 al capitolo 17. In questo discorso che abbiamo ascoltato ci rivela la nostra identità, che è molto fragile e va riconosciuta ma bisogna capire il rimedio perché questa fragilità sia fortificata, sostenuta. Per cui ci dice che siamo come dei tralci in una vite. Un tralcio è un ramo. Questo che vi mostro è un tralcio secco, perché si è spezzato, non è unito alla vite e ognuno di noi rischia questa fine. Tutti nasciamo spezzati, separati da questa vite. Avete sentito che Paolo tentava di unirsi agli apostoli, ma non ci riusciva. Aveva però capito che avrebbe portato il suo frutto, realizzato la sua vocazione solo quando sarebbe stato innestato in questa vite. Non doveva diventare prima più buono, all’altezza della situazione! Doveva solamente unirsi così com’era, violento! Ma non ci riusciva… e allora Barnaba ha questo ruolo, di capire il dramma di chi si deve inserire in una vite, e anche in una vita. Non si tratta di unirsi a questa vite che è la Chiesa, per diventare più buono, né per diventare cattolico, ma di inserirci, di toccare, di fare contatto con una vita che pian piano ci attraversa. Dobbiamo rimanere uniti, perché se tu non rimani in me – dice Gesù – ti secchi, ti butti via, ti bruci la vita! Se invece rimanete in me e io in voi porterete molto frutto! Queste cose ve le sto dicendo perché la mia gioia sia in voi! E la vostra gioia sia piena!

Chissà qual è il frutto che possiamo portare noi. Questo ramo che si inserisce nella vita non è chiaro per la gente. Insieme ai miei catechisti, che sono Barnaba, stiamo combattendo per capire le cose. Perché la Chiesa ha innanzitutto un’identità quasi ideologica, per cui devo essere perfetto, cattolico… e quindi la gente ha paura di unirsi alla Chiesa, chissà cosa mi chiederanno… quindi bisogna rifare l’immagine della Chiesa, e questo lo fa Barnaba, lo fanno i catechisti, le persone che mi aiutano, i sacerdoti, che non vogliono che voi diventiate cattolici, ma vogliono che non moriate! Ma in questo momento storico in cui noi stiamo facendo in modo che i bambini per esempio facciano la prima comunione, si uniscano a questa vite, avvertiamo come un grande malinteso, non ci capiamo! Perché noi stiamo cercando di inserirli nella vita ma questo spesso non viene compreso dai genitori che non valorizzano il lavoro fatto dai catechisti. In televisione hanno fatto un servizio sulle balene che in Australia si sono spiaggiate  gli ambientalisti stanno cercando di farle tornare nell’oceano, dove per loro c’è la vita. Come mai queste balene non vanno dove per loro c’è la salvezza? Ecco questo accade anche a noi. Ci sono genitori che si mettono contro il lavoro che sta facendo la parrocchia per portare ad esempio i bambini alla comunione. Non c’è un livello più alto dell’affrontare le cose di quello che possiamo offrirvi qui in parrocchia.

Noi siamo in una situazione drammatica. Io ringrazio innanzitutto i miei Barnaba, che mi aiutano a rimanere collegati. Noi siamo in un ambiente intossicato che ci porta a disprezzare la nostra sorgente, a non capirla più. Invece noi siamo chiamati a portare frutto, più frutto, un superfrutto!

La vigna è il luogo della festa! Gesù l’ha scelta come simbolo dell’amore: nessuno ti ha amato come io ti ho amato. Nessun amore è più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Quando noi siamo attraversati da questa forza che è Dio, che è amore, allora la nostra vita ha senso. Sei stato chiamato, sei stato costituito, hai portato frutto, e il tuo frutto rimane. Perché “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho costituiti perché portiate frutto e il vostro frutto rimanga”.

Perché questo avvenga occorre però anche la potatura. Il vignaiolo ha questa grande responsabilità, io ho questa grande responsabilità. Aspettatevi questo! Noi siamo allergici alla potatura perchè il mondo ci rimanda un’immagine di noi che è di onnipotenza. E’ necessaria la potatura, anche se a volte questo potrebbe significare perdere qualcuno, non perché sia sbagliato potare, ma perché si sbaglia a valutare la maturità di quella persona. Chi non porta frutto viene tolto, ma chi porta frutto viene potato, perché porti più frutto.