Mc 10,46-52
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la stradaLa città della quale si parla nel vangelo è Gerico, una città antichissima, forse la più antica del mondo: è stata scoperta nel 1950, perché era sottoterra e sta a circa 400 metri sotto il livello del mare per cui fa caldissimo. A Gerico c’è un uomo che è cieco, ma ci sono due tipi di cecità e qui ne viene sottolineato uno. Gesù gli dice: “che cosa vuoi che io ti faccia?”; e quello risponde: “voglio ritornare a vedere”. Significa che prima vedeva, poi ha smesso e bisogna capire cosa è successo: ci vedeva, veniva in parrocchia, faceva il catechismo, sentiva Don Fabio ed era tutto contento; andava dal marito e gli dava un bel bacio, un abbraccio ed era tutta contenta, anche con i figli; adesso ha perso la vista.
Domandiamoci come viveva questo uomo cieco, dove stava, che faceva tutto il giorno: stava in strada a mendicare e fondamentalmente stava rannicchiato, bloccato, seduto. Così uno non viene a messa, inizia a pensare che al lavoro, domani mattina, sarà una cosa terribile; tua madre ti chiede di andare a prendere il latte e tu non ci vai perché sei stanca, lo sei proprio di costituzione. Mendicare significa chiedere: io non vado più in parrocchia perché non mi è piaciuto quello che hanno detto, che hanno fatto, come si sono comportati. Stai sempre a pretendere, oppure ad accusare, a indicare, a sperare che qualcuno si fermi, che qualcuno abbia una sensibilità. Questo atteggiamento di una persona chiusa in sé, che non ha più molte motivazioni, che si lamenta, squalifica gli altri, si isola è un sintomo di chi è tornato ad essere cieco. Prima ci vedevi, prima eri contento, adesso non lo sei; prima una parolina ti entusiasmava, mentre ora la predicazione non ti dice più niente.
Possiamo capire cosa significa essere cieco per il fatto che grida e tutti gli dicevano di stare zitto perché sta passando il maestro; invece Gesù, mentre questa persona grida e ancora grida, si ferma e dice: “chiamatelo”; dicono allora al cieco: “alzati, ti chiama”; quello si alzò in piedi, lasciò il mantello, andò da Gesù e gli disse: “Rabbunì, che io riabbia la vista”. Gesù gli dice: “la tua fede ti ha salvato” e ricominciò a seguirlo contento.
Quello significa vedere: ripartire con un atteggiamento non solamente di contentezza, ma di grande riconoscenza. Per fare questo c’è bisogno di gridare, che non è affatto facile.
Sappiate che c’è una letteratura orientale tutta basata sulla preghiera del cuore, tratta da questo Vangelo, cioè la preghiera del pellegrino russo: “Signore, Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore!” e chi prega così rischia molto se non è guidato da un padre spirituale, perché bisogna spiegare molte cose. Ma gridare di per sé significa un’altra cosa: non sgolarsi, ma fare un cammino di chi assomiglia ai personaggi del Vangelo di San Giovanni, il quale utilizza il verbo vedere, che in greco si può dire in modi diversi: iI primo è “blépo”, che significa dare uno sguardo; il secondo è “theoréo” che significa guardare un po’ più i particolari; poi c’è “horào”, che significa cogliere dentro, dentro il mistero. Quando gli apostoli dicono: “vogliamo vedere Gesù”, Papa Francesco dice che il verbo che San Giovanni utilizza è “horào”, che nel vocabolario dell’evangelista significa andare oltre le apparenze per cogliere il mistero di una persona, guardare dentro dove si rivela la sua gloria.
C’è un lavoro spirituale da fare; qualcuno deve accompagnarti a cogliere che dentro quella situazione che stai vivendo non c’è solamente una fregatura, ma c’è una grande occasione, una grande bellezza, c’è Cristo che ti chiede di seguirlo, di avere a che fare con Lui, che il suo mistero si realizzi nella tua vita grazie alla storia che stai vivendo. Se vuoi che questo avvenga, se tu dici “amen!”, allora ti rialzi in piedi e ti accorgi che questa vita tua la vivi prolungando l’esistenza di Gesù Cristo che è il senso vero, che è la luce vera della tua vita; se questo tu non lo fai, rimani fermo. Bisogna passare dalla tua esistenza, dalla tua difficoltà, alla persona viva di Cristo che ti consente di poter avere una parte nella sua esistenza. Questo è fondamentale: la nostra vita è carica di occasioni in cui noi stiamo prolungando la vita di Cristo perché lui vive in me e io in Lui. Se io questo lavoro non lo faccio, riscontrando che adesso sto messo male, pensando a che direbbe don Fabio, che ne sanno tanti preti, e mi metto in questa situazione, rimango cieco; se tu ti domandi se fosse una grazia questa situazione, pensi di lavorarci meglio, domandare, pregare, rifletterci e ti accorgi che là dentro c’è un modo in cui Cristo ha affrontato quella situazione che tu stesso stai vivendo e decidi di vivere insieme con Cristo, che questo si compia in te, che si compia questa parola, questa situazione in te e tu con Lui, allora la tua vita si rimette in piedi.
Avete sentito che il Salmo parlava delle grazie di Dio e questo è il lavoro della contemplazione; Sant’Ignazio di Loyola lo chiamava la contemplazione nell’azione; ma è così tutta la spiritualità cristiana. La stessa Divina Commedia dice che la fine del paradiso è scoprire che dentro la mia effigie c’è l’effigie di Dio, di Gesù Cristo: “mi sembrò che avesse dipinta in esso dello stesso colore l’immagine umana; per questo avevo penetrato all’interno tutto il mio sguardo e dentro da sé del suo colore stesso mi pare dipinta della nostra effigie perché il mio viso in lei tutto era messo”. Sta dicendo che in Dio vede sé stesso in Cristo, è una “theomai”: “theaomai” è il quarto verbo, che significa avere una visione mistica della storia.
Se tu hai riconosciuto stamattina che sei bloccato, ti stai annoiando, ti stai demotivando, la via di uscita è questo gridare, questo lavorare, cercare il mistero di Cristo e dire: “amen!”. Spero che adesso noi lo faremo anche durante l’eucaristia in cui ogni volta vi si dice: “il corpo di Cristo” e voi rispondete: “amen!”; questo è quello che noi ci auguriamo.