Omelia del Giubileo

01-02-2025 SABATO 25 GENNAIO - TEMPO ORDINARIO - ANNO C di Redazione

Mc 16,15-18

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

DON FABIO

Penso che questo Vangelo rispecchi quello che viviamo: Gesù appare agli undici e li invia perché siano battezzati, siano formati, siano trasformati. Quello che noi vediamo è che veramente Cristo, anche se non in una maniera spettacolare, ma profonda, fedele, reale, arriva in aiuto a noi che facciamo questo servizio come parroci, sacerdoti, ma anche a volte come responsabili dei vari gruppi.  Noi vediamo come possiamo scacciare i demoni di chiusura, di durezza, di risentimento, così come riusciamo a parlare lingue nuove per farci intendere dai giovani, dalle persone in difficoltà e a prendere questi serpenti, questo spavento che a volte ci prende.  Viviamo un’esperienza straordinaria e vediamo che Dio ci dà anche la sapienza per poterli condurre. 

Questo giorno è dedicato al Giubileo e per questo vorrei farmi aiutare da San Paolo per tentare di spiegarvi brevemente delle cose molto difficili: ricorreranno spesso in quest’anno vocaboli come Giubileo, peccato che produce la colpa e la pena temporale, sulla quale interviene l’indulgenza, perché ci sia una soddisfazione. 

Il Giubileo aiuta la Chiesa a riprendere in mano certi strumenti.

Rileggiamo velocemente la storia di San Paolo, raccontata negli Atti degli Apostoli per tre volte, in maniera sempre più specifica e più particolare; questo è strano, perché normalmente, quando viene esaltata una persona, deve essere pulita, non deve avere ombre, devono essere cancellate tutte le più piccole tracce di peccato, di imperfezione, in modo che sia assolutamente illibata. Invece San Paolo, attraverso gli Atti degli Apostoli, racconta costantemente con particolari, dettagli diversi, quello che lui visse quando era convinto di vedere e invece era cieco: era talmente convinto che quello che diceva fosse la verità, che non si era accorto di essere cieco ed ha fatto tantissimi danni. Uno pensa di vedere perché applica la razionalità: il cristianesimo è anche ragionevole, ma non è razionale, nel senso di deducibile da alcuni principi che poi io posso mettere in pratica; c’è necessità di una conversione, che è un trauma, affinché uno si accorga che solo quando diventa cieco, comincia a vedere. Gesù lo dice nel capitolo 9 del Vangelo di San Giovanni:  “Io sono venuto.… perché quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi. Questo è successo per San Paolo e per molti personaggi della Bibbia: ricordiamo Sansone che cominciò a vedere solamente quando fu cieco. Paolo ricorda che era una belva, ma se n’è accorto dopo: è incredibile per una persona intelligente come lui. Eppure anche noi riusciamo a fare delle bestialità con leggerezza; anche l’epoca moderna contemporanea ci mette di fronte comportamenti di spontaneismo, pulsionali, improvvisati con cui uno commette tanto male. Noi non vogliamo parlare di quelli che stanno fuori, ma di noi che stiamo dentro: abbiamo bisogno di una costante attenzione al fatto che possiamo tornare ad essere talmente pieni di noi stessi da commettere dei peccati che producono dolore, delle conseguenze complicate, come quelle che Paolo racconta: lui dice che ebbe questa illuminazione e allora capì che stava succedendo qualcosa.

Lo stesso avviene quando una persona si va a confessare; il peccato di per sé ha due elementi che lo caratterizzano: una è la colpa, l’altra è la pena temporale.  La colpa è rendersi conto che ha sbagliato: può confessarsi e riprendere questa relazione con Dio che però non può rimettere la pena temporale con una “pacca sulla spalla”; rimane tutto un lavoro da fare, non tanto per compensare il male che ha fatto, ma perché sia garantito che il perdono che gli è stato concesso da Dio lo raggiunga veramente e lo rianimi in maniera tale che lui non torni ad essere quello di prima, ma meglio di prima. Questo lavoro si chiama pena: la parola pena porta con sé il senso di un dolore, di una fatica, di una penitenza. Ebbene, essa, attraverso la predicazione e l’azione della Chiesa, può essere non abbreviata (perché deve avere il suo corso perché noi ci garantiamo del bene che Dio ci vuole fare), ma addolcita.

La parola indulgenza nella sua etimologia ha in sé la parola dolce: “in dulce”, è diventata “in dulge” con la “g”. Questa operazione che rende meno penosa la pena, anzi a volte entusiasmante, è quello che è accaduto a San Paolo: riceve un’illuminazione, poi deve diventare un bambino e quindi comincia a capire tante cose, perché lo accompagnano, lo prendono per mano, lo sostengono nel suo stordimento. E’ un momento bello della vita spirituale: anche quando sbagli, se qualcuno ti prende per mano, puoi chiedere aiuto perché non ci vedi.

Abbiamo visto che Dio chiama un certo Anania che rispetto a Paolo era un “signor nessuno”; eppure Paolo si lascia guidare e Anania lo cura, lo aiuta, lo sostiene e la cosa più bella è che riceve il Battesimo; dopodiché comincia a predicare, ma tutti gli Apostoli avevano paura di lui perché non si fidavano. Siccome era tanto bravo, era invidiato, ma viene accompagnato da un tale di nome Barnaba che significa “figlio delle esortazioni”, cioè una persona che valorizzava gli altri: Saulo, diventato Paolo, era molto zelante e lui stesso diceva: “io che per l’innanzi sono stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento, mi è stata usata misericordia perché agivo nell’ignoranza, ero cieco; ma mi è stata usata misericordia, di modo che la grazia in me ha faticato; non io però, ma la grazia di Dio; perciò sono quello che sono”. 

Così Barnaba lo ha presentato alla comunità di Gerusalemme perché il suo itinerario era quello di appartenere a una comunità; uno dei pericoli oggi è quello di pensare che il cristianesimo sia un individualismo, che si possa essere cristiani nel lavoro che fanno gli youtubers, senza confrontarsi, senza entrare in quella ferialità, in quella fatica di appartenere ad un gruppo, ad una Chiesa, ad una comunità, che è anche quella della Parrocchia. Paolo ha fatto questo itinerario e questa è stata la sua “pena temporale”, che però per lui non è stata una cosa cattiva, ma è stata meravigliosa, perché attraverso questo Dio lo ha reso giusto. 

Noi pensiamo che Dio deve fare giustizia, che è metterti davanti alla scoperta della verità di quello che tu sei, e spesso uno è difettoso; ma quando si accorge che è difettoso, che è peccatore, questa giustizia si trasforma in un’ingiustizia, perché non ti viene dato quello che tu meriti. La giustizia è dare a ciascuno quello che si merita e non dare a te quello che non ti meriti, cioè una gratuità, una sorpresa, che è l’amore di Dio. Questa esperienza ha reso Paolo grato, riconoscente, entusiasta e dice con forza: “guai a me se non evangelizzassi”. 

Questo lavoro di approfondimento della grazia di Dio è lontano da quell’entusiasmo superficiale che spesso i bambinetti esigono ed il Giubileo vuole che venga riscoperto dai cristiani. Per cui la parola pena temporale è proprio brutta, però ha dentro di sé la questione del tempo che è necessario, e la necessità di un lavoro, che però diventa meno penoso a causa di una grazia speciale che ci dà il Signore nel renderci conto che fare i conti con le conseguenze dei nostri peccati davanti all’amore di Dio è una cosa che ci entusiasma. 

Ecco perché Paolo era così esperto del cuore dell’uomo.  Io spero che questa profondità in cui noi ci occupiamo di voi, della vostra vita, delle vostre famiglie produca e cresca sempre nella misura in cui noi siamo perseveranti.

Poi San Paolo capirà che questa operazione che aveva fatto Barnaba con lui doveva portarla avanti formando tante comunità in tutta la Turchia, la Grecia ed in tutto il mondo.

Vi volevo raccontare questo riguardo al Giubileo e a Paolo; vi invito a combattere perché tutti noi siamo vittime di uno sgretolamento delle nostre persone, dei nostri equilibri, delle nostre relazioni, delle nostre appartenenze. Facilmente uno perde il ritmo e scappa fuori: basta che io ti dica qualcosa che non ti piace per far esplodere dentro di te questo atteggiamento di Paolo prima della conversione: minacci strage, crei problemi… Dentro la nostra città, dentro il nostro quartiere noi siamo un popolo che ha il dovere di dare testimonianza alle persone che girano senza senso e si ritrovano completamente smarrite, stordite. Allora io vi invito a guardare questa Chiesa e Dio ci dà un grande premio di vedere che non siete soli: voi non siete solo della parrocchia di San Bernardo, ma appartenete alla Chiesa, all’opera che Dio  sta facendo per il mondo. Questa per tutti noi è una conferma che il Signore ti dice: vai bene così, complimenti, bravo, mi compiaccio, stai imparando tante cose; oggi hai combattuto, sei stato qua, goditi questo che è un segno di vita eterna per te e per tutti gli altri. 

 

DON MAURO

Sono contento che, in tanti di noi, tanti travagli che viviamo si trasformino a motivo di questa grazia che viene nel tempo, in una fierezza e riusciamo a cogliere che arriva una vitalità; questo è importantissimo. Paolo anche con i super apostoli, con fierezza dice di essere l’ultimo, però ha sopportato, ha vissuto il naufragio, la lapidazione, la flagellazione… ha vissuto di tutto ed è stato mezzo morto. Lo può dire non come vittima, ma come qualcuno che ha trasformato la pena in una fierezza. Per questo ha una parola da dare, che arriva da Dio e per questo dice: “guai a me se non evangelizzassi”, perché io l’ho ritenuta, l’ho metabolizzata e adesso la posso dare, a motivo anche di queste difficoltà. Io spero che questo Giubileo in tutto questo anno veramente addolcisca quelle pene che tutti noi a volte passiamo: i peccati non degli altri, ma i nostri e possa portarci a questa possibilità di arrivare ad una regalità: facciamo parte di un unico corpo che è il corpo di Cristo da portare agli altri. Io lo auguro per me e anche per tutti voi.