Mostrò loro le mani e il fianco

27-04-2025 2 domenica di Pasqua di don Fabio Pieroni

Gv 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Vi faccio una piccola introduzione perché ora noi stiamo vivendo il tempo della Cinquantina Pasquale; questa espressione non è familiare perché in generale è ancora frutto di una catechesi molto insufficiente da parte della Chiesa che ci ha guidati. Quindi, dopo il Concilio, c’è stata questa grande apertura, ancora tutta da percorrere, verso dei contenuti importantissimi da conoscere: così come è importante la Quaresima, con tutte le sue tecniche di purificazione, di ascesi, di mortificazione, è fondamentale conoscere l’importanza della Cinquantina Pasquale, che sarebbe il momento non solamente di preparazione, ma di assimilazione della risurrezione. Noi siamo messi con le ruote sgonfie sul suo significato, anche perché non sappiamo cosa sia; infatti, già la parola è fuorviante perché c’è questo suffisso ri (ritornare, ricominciare, rifare) che ci fa credere di poter continuare a fare qualcosa che si era interrotta a causa di un danno, di una morte, di un incidente; quindi, la risurrezione è tagliare quei fotogrammi in cui c’è stato il blackout e incollarli con quelli precedenti. Invece non è così perché in greco risorgere è un verbo e “ANISTEMI” significa mettere una persona in piedi, che una persona abbia una spina dorsale, che viva nella posizione eretta, che abbia una nuova dignità. Fatto sta che la risurrezione non è la rianimazione di un cadavere che finalmente se ne vola via come una rondinella: questa è una visione che prescinde anche dalla partecipazione nostra a questo mistero. Non è questo il punto fondamentale, cioè quello della risurrezione di una persona che riceve una nuova vita, né tantomeno è quello che spesso noi abbiamo in mente e cioè che la risurrezione riguarderebbe esclusivamente il mondo dei morti che non sono morti, ma si aprono alla vita cosiddetta eterna: anche questa è una cosa imprecisa. La risurrezione riguarda anche il proseguo della vita terrena che, sfondando la storia, si apre ad una dimensione che noi non possiamo immaginare e che ci viene proposta soprattutto dal libro dell’Apocalisse: è proprio in questo libro che emerge la visione di San Giovanni apostolo nell’isola di Patmos, il quale dice appunto che lui vede Gesù cadere a terra come un morto: “ma Egli, posando su di me la destra, mi disse: non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo” ed “ero morto, ma ora vivo per sempre ed ho potere sopra la morte e sopra gli inferi”. Questo aspetto della risurrezione è fondamentale ed è l’aspetto escatologico: “ta escata” in greco significa quello che rimane al di là della morte, cioè le ultime cose, quello che alla fine rimane.

Il Vangelo di oggi ci parla di uno dei punti fondamentali della risurrezione; viene descritto Tommaso che non ha creduto ai suoi amici quando gli hanno raccontato della visita di Gesù nella loro casa. Vi dico una cosa: la prima forma della risurrezione è la comunità, è una comunione! Con questo voglio raccontarvi, per esempio, che in questi ultimi giorni noi abbiamo ospitato in parrocchia 200 ragazzi dai 13 anni ai 16 anni: hanno dormito per terra ed abbiamo attivato tutti i giovani della nostra parrocchia, i quali hanno pulito tutto, portato il cibo ed organizzato i bagni chimici; dopo hanno fatto un incontro con l’oratorio con tutti i giochi, fino a ieri sera dove ho fatto loro un’altra catechesi. Erano tutti perfetti: circa 150 venivano da Velletri ed erano uno più bravo dell’altro, sono rimasto colpito, pazzesco! Gli altri erano di Catania ed anche loro bravissimi: sono entrati in comunione con i nostri ragazzi, alcuni del cammino neocatecumenale, altri degli scout, altri dell’oratorio; una comunione impensabile, una cosa pazzesca, meravigliosa! Questo è un segno della risurrezione, della comunione.

Cosa fa la risurrezione in questo Vangelo? Vuole specificare che si nota un corpo vivo che porta delle ferite mortali e questo è certamente il corpo di Gesù, ma è il corpo della comunità. Per questo Gesù dice: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno”, perché avete visto non me fisicamente, ma voi cambiare e vivere in una dimensione che umanamente non è possibile. Normalmente succede che dentro una comunione, un’assemblea, nelle relazioni (a partire da quelle genitoriali, a quelle familiari a quelle coniugali) si creano delle fratture legate alla delusione, all’imprecisione, alla cattiveria, al menefreghismo, alla pazzia. Un corpo normale non regge e quindi si deve separare, si deve difendere,  deve fare il pazzo; invece succede che c’è una comunione! C’è un peccato grave che crea discomunione, dolore, fatica,  e riesce a creare caos dentro la comunità: Tommaso non ha creduto niente di quello che dicevano gli altri discepoli, non c’era quando è apparso Cristo perché si era stufato, non sentiva più il bisogno di loro. Questo ha creato una forte ferita negli apostoli e del dolore. La logica della giustizia, che è fondamentale, deve descrivere qual è il danno prodotto, ma gestisce la ragione in maniera tale che venga sanzionata la mancanza attraverso una pena. La logica della “koinonia”, della comunione, cioè della risurrezione, non è basata solo sulla giustizia (che è fondamentale, perché oggi vedete che i conflitti mondiali sono basati sull’ingiustizia gravissima che è stata prodotta); essa non depenalizza il reato: Gesù non chiude un occhio, ma li apre tutti e due e che cosa fa? Prende questo peccato, questa divisione, questa ferita su di sé e non la esibisce così davanti a tutti! Non è una depenalizzazione, una “diminutio” del danno prodotto, ma è la capacità di portarlo sulle spalle e assorbirne la cattiveria per creare una nuova comunione! Questa è una persona risorta: più che una persona, una comunione, una comunità, una Chiesa! È qui che si vede l’azione di Dio. Gesù lo dice nella famosa preghiera sacerdotale: “vi do comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” dove l’amore non è solo il sentimento, ma soprattutto è l’atteggiamento di chi sa che prevale la comunione alla giustizia, il bene di chi ha peccato e che va ricostituito non con una battuta sulle spalle ma come un lavoro importante, difficile, cruento, sul quale un cristiano è capace, disposto a portare avanti la sua missione! Ecco, quando si vedono queste cose c’è la risurrezione!

La lettera ai Filippesi dice: “se c’è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti. Non fate nulla per spirito di rivalità, per vanagloria, ma ciascuno di voi con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso, senza cercare il proprio interesse ma quello degli altri”. Questa è una sintesi di San Paolo, in cui spiega che cosa produce la risurrezione: non dice me la sono cavata pure questa volta, l’ho scampata bella, questa non è la risurrezione! Io voglio spiegarvi che tutto questo non si realizza magicamente, dobbiamo saper assecondare lo Spirito e c’è un altro spirito che è quello di una giustizia distruttiva: la giustizia di per sé non distrugge, ma conserva, garantisce, approfondisce; non è da demonizzare, è fondamentale.

Dobbiamo imparare ad essere le persone che facilitano l’azione dello Spirito del Risorto.