Io sono la porta delle pecore

30-04-2023 IV domenica di Pasqua di don Fabio Pieroni

Gv 10,1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Bene oggi è la quarta domenica di Pasqua e si chiama “domenica del buon pastore” perché normalmente si legge un brano del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni.

Ieri sono stati ordinati dal Cardinale Angelo De Donatis a san Giovanni undici sacerdoti per Roma. Sappiate che a Roma ci sono tutti i collegi del mondo, quindi Roma dal punto di vista della spiritualità, del prestigio, è la numero uno.  Immaginate che a Roma ci sono a disposizione della diocesi mille sacerdoti. ma ce ne sono più di settemila.

Il Vangelo di oggi è molto difficile. Gesù dice: “Io sono il buon pastore”. poi parla di una porta, parla di un recinto, parla di entrare e uscire. E alla fine dice che lui non è solamente il Buon Pastore, ma è anche la porta.

Poi nell’altra parte del discorso parlerà della differenza che c’è tra un pastore e un mercenario e farà tante altre distinzioni però a noi questa mattina interessa questo collegamento tra l’identità di Gesù che si autodefinisce pastore. Il pastore in Israele non è il pastorello, il poveraccio che non capisce niente. Il pastore nell’alfabeto biblico è un ruolo di grande prestigio perché ha un’autorevolezza, una sapienza, una ricchezza.  All’epoca un pastore era una persona importante. Gesù parla di un pastore delle pecore non delle capre. La capra in realtà è un animale estremamente pulito, ordinato, intelligente, le pecore invece si disuniscono, se una pecora mentre cammina  alza la zampa, tutte le altre alzano la zampa…Gesù dice così “Io sono il buon pastore perché sono la porta”, cosa significa?

La porta è un collegamento tra due ambienti. Applichiamo questo concetto del collegamento a questa famosa lettera agli Efesini di San Paolo il quale dice: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, per creare in se stesso un solo uomo nuovo”; sta dicendo che Gesù collega il cielo con la terra e quindi ci consente di poter vivere dentro questa vita terrena secondo i criteri del cielo, ed attraverso la ricchezza, la potenza della vita divina che può irrompere nella nostra storia per manifestarsi con una vita vissuta secondo il modo di Gesù.

Il modo di vivere sulla terra secondo la logica e la forza e la santità che viene dal cielo è una vita finalmente salvata, una vita che non è più la vita di una pecora che vive in una maniera approssimativa. Nella lettera agli ebrei è scritto che Cristo è entrato una volta per sempre nel santuario, nel Santo dei Santi, davanti a Dio con la nostra carne umana perché la nostra carne potesse essere condotta a un’esistenza divino-umana, una esistenza evangelica, e dal cielo la nostra carne potesse essere rivestita della forza e della logica che viene da Dio. Quando nell’Apocalisse domandano: “Da dove vengono tutte queste persone che sono vestite di bianco?”  “Sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno reso le loro vesti candide lavandole con il sangue dell’agnello”. Capite quindi che questa parola che Gesù aveva detto nel Vangelo di Giovanni San Paolo comincia a meditarla e a capire che anche per noi è possibile questo.

Occorre che nella nostra vita ci sia un pastore che ci apre un collegamento per poter comprendere meglio e vivere secondo l’altezza di questa visione umana la nostra esistenza terrena, e ci aiuta a capire che quei problemi che abbiamo possono essere vissuti, compresi, attraverso una Sapienza che non è immediatamente quella umana ma quella divina. Per poter fare questo, il pastore deve combattere tantissimo, deve studiare, deve approfondire, deve dedicarsi, e per questo motivo le pecore ascoltano la voce del pastore, non perché c’ha le stellette da pastore, ma perché sta dando la vita.

Ora capite che il parroco, i preti di una parrocchia, se vogliono essere veramente riconosciuti come pastori non possono non arrivare a consumare la propria esistenza; non si può fare il prete con la mano sinistra, così tanto per giocare.

La cosa meravigliosa di questo Vangelo è che in ogni celebrazione il pastore ci apre questa porta e ci consente di fare un collegamento tra il modo di essere, di vivere secondo questo mondo, così terra-terra e una vita che sia invece fecondata, illuminata, arricchita da questa inesauribile potenza che viene dal cielo, che viene da Dio. Il passaggio tra Dio e la terra è il pastore e questo noi lo vediamo e lo sperimentiamo perché tante volte uno entra qui in parrocchia dopo una settimana  faticosa, difficile, complicata, veloce, dove tutto sembra fatto male, dove tu rincorri costantemente il tempo e arrivi qua e arriva una specie di spiffero che viene dal soffio dello Spirito Santo che ti calma e ti dà nuovamente quella voglia di ricominciare.