Io sono il buon pastore

21-04-2024 IV domenica di Pasqua di don Fabio Pieroni

Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

 

Quest’estate in Sardegna, mentre facevo una camminata, ho visto da lontano una pecora che saltava: c’era una rete con il filo spinato; lei stava sul marciapiede, c’era la strada dove camminavano le macchine e non c’era il pastore. Era una pecora senza pastore e poteva fare una brutta fine; infatti, non sappiamo come è possibile che si fosse sganciata dal gregge. Mi sono avvicinato e questa pecora è crollata, perché non ce la faceva più: un agnello pesa dai 10 ai 15 chili, una pecora pesa dai 50 ai 100 chili, è pesantissima. Per cui ho fermato le macchine, alcuni hanno telefonato ed è arrivato un camion e l’hanno portata via in 4 persone.

Le pecore hanno un problema importante che è l’orientamento: se non è guidata, si perde. Gesù parla delle pecore e del pastore e di questi due personaggi: il pastore con le pecore e le pecore con il pastore, perché non c’è una persona al mondo che non abbia un pastore, anche gli atei, ma dipende da quale è il pastore. La parola dice: “egò eimi o poimen o kalos”, e significa “ego” = io “eimi”= sono “o poimen”= il pastore “o kalos”=quello bello, non dice quello buono, (agathos), cioè io sono il pastore quello bello, quello vero. Esistono pastori fasulli e la maggioranza delle persone li seguono: le mode, una squadra di calcio, un opinion leader, un influencer. Ognuno di noi non può che seguire qualcun altro, non è originale completamente e su questa necessità dell’uomo spesso si inserisce il lupo e si accredita nei suoi riguardi come il vero pastore, quello che gli darà la vita vera.

Oggi dobbiamo cercare di scoprire alcuni elementi del pastore bello, del pastore vero, perché è la domenica del buon pastore, in cui vengono ordinati nuovi sacerdoti. Ieri sera il Papa non poteva essere presente, perché non stava bene in salute, e ha celebrato il cardinal De Donatis, che è uscente ed ha dato anche il saluto alla diocesi; sono stati ordinati 11 nuovi sacerdoti, che chiaramente sono pochi, c’è carenza, perché abbiamo 353 parrocchie e durante l’anno tanti sacerdoti si ammalano o altro.

Un presbitero, un sacerdote dovrebbe essere un pastore, cioè colui il quale ha un gregge. Noi abbiamo tante idee di chi sia il pastore e pensiamo che sia tipo il personaggio un po’ ridicolo di Don Abbondio, che è il prete de “I Promessi Sposi”, non so se l’avete mai letto: è una persona violentissima; è intelligentissima, perché si fa gli affari suoi e se qualcuno gli procura qualche scocciatura, fa l’ira di Dio.

Il pastore non è neanche un maestro che spiega la dottrina, ma è innanzitutto colui che ti guida, una persona che ti aiuta a vedere le cose secondo il Vangelo ed è una presenza speciale di Cristo sulla terra. Io, don Fabio Pierioni, così come don Davide, abbiamo in maniera speciale questo grande compito di far rendere visibile la presenza di Cristo; si chiama presenza sacramentale di Cristo, cioè un segno visibile, qualcuno che assomigli all’opera che Gesù vuole fare su di noi; quest’opera certamente la deve fare ogni cristiano, ma in particolare il sacerdote. Il pastore deve innanzitutto guidare nell’autorevolezza che ha Gesù Cristo, secondo una modalità che è quella del Vangelo: uno può essere guidato secondo i propri impulsi, le proprie mode, ma invece c’è una scuola di vita permanente che è quella che deve portare avanti il presbitero.

Oggi come oggi c’è un processo di grande rinnovamento, perché fino a pochi anni fa il prete era solamente la persona che dava i sacramenti, si chiama pastorale sacramentale: dispensava il battesimo, la comunione, la cresima, il matrimonio ed è una riduzione del cristianesimo; il presbitero è diventato prigioniero di questa specie di consumismo spirituale. Su questa distorsione è intervenuta la Chiesa con il Concilio e tanti altri documenti del Magistero che ha spiegato che il presbitero deve essere colui che presiede e che organizza la nuova evangelizzazione; essa consiste nel poter fare in modo che le persone non solo sappiano le cose, ma le vivano, che quello che uno riceve come annuncio, le possa digerire, assimilare e personalizzare.

Per realizzare questo, ci vuole un grandissimo lavoro che il presbitero deve fare insieme con i catechisti: le pecore sono i fedeli, il presbitero è il pastore e i cani sono i catechisti (con tutto rispetto), i suoi collaboratori ed io ho dei collaboratori eccezionali. Il pastore sta costruendo un gregge, un luogo dove le persone possano essere curate, ascoltate, guidate, difese da tanti problemi che esplodono nel cuore dell’uomo. Io che sono anche parroco, devo fare un grandissimo lavoro per portare avanti la parrocchia: non solamente il gregge che è la tua comunità, che sono comunità di comunità, ma la parrocchia che è una portaerei che va alimentata tutti i giorni. Altrimenti vi lasciate andare, come le pecore: uscite fuori, state per strada, saltate e fate una brutta fine. Per cui io devo costantemente dare un ritmo, perchè basta niente e dimentichi tutto, ti inselvatichisci, te ne vai. Invece la parola di Dio “frusta” i pastori perché siano attenti alle pecore.

Soprattutto in questo periodo di grande smarrimento, la parrocchia è il luogo in cui uno viene guidato da una parola che si ispira alla civiltà, alla profondità del Vangelo. Anche i nostri figli, voi li portate non solo perché possano fare la Prima Comunione, ma affinché possano assimilare lo spirito cristiano, vivere la vita come tali e non in modo casuale; se è guidata da falsi pastori, uno va a finire male.

Quindi questa è una domenica importante, in cui anche voi dovete imparare non solamente a capire chi è il pastore, ma essere delle pecore, cioè dei fedeli, i quali si fanno condurre non in modo acritico, da robottini. La metafora che Gesù utilizza è veramente molto arcaica, perché stiamo parlando di 2000 anni fa e oggi non si vedono più il pastore e le pecore, ma all’epoca era fondamentale e costantemente si vedeva questa realtà. Dobbiamo fare in modo anche che il pastore faccia il suo mestiere; tanti di noi lo vediamo come un amico, come una persona come noi. A questo proposito, Sant’Agostino diceva una frase famosa: “con voi sono cristiano, per voi sono parroco, sono vescovo”.

Il pastore deve fare un lavoro che è quello della nuova evangelizzazione, di creare una parrocchia che sia costituita da comunità di comunità, una comunione di comunità, una dimensione a misura d’uomo: sono i vostri gruppi e senza questi, senza il gregge non ci può essere il Cristianesimo.

Il termine parrocchia significa “accampamento”, non ha qui la sua “stabilitas”, siamo in pellegrinaggio verso il cielo; dentro questa dinamica in cui noi dobbiamo essere allenati e condotti, Dio ci dà i suoi pastori. Ringraziando Dio, io ho don Simone, don Mauro, don Arnaldo, don Cenal e tanti altri come don Giuseppe Tonello, ma senza che ci sia comunione fra i preti dentro una parrocchia, non c’è niente; se c’è qualcosa, questo è dovuto certamente al lavoro che si fa, ma anche alla comunione che Dio ci dà e che noi dobbiamo favorire gli uni con gli altri.