Facciamo tre capanne

13-03-2022 II domenica di Quaresima di don Fabio Pieroni

Lc 9,28-36

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

E’ importante sottolineare il fatto che nella Quaresima è rimasto cristallizzato tutto quel materiale fondamentale che è necessario per preparare un pagano a diventare cristiano. C’è un catecumenato post battesimale che facciamo tutti gli anni per riprendere quegli elementi, quei fondamenti del cristianesimo che debbono essere riattivati, devono essere sempre approfonditi perché noi possiamo non solamente rimanere cristiani, ma possiamo crescere nel nostro cristianesimo.

Abbiamo fino a questo momento vissuto il mercoledì delle ceneri e  la prima domenica di Quaresima con le tentazioni. Oggi abbiamo il tema della Trasfigurazione che ci viene raccontata dall’ evangelista Luca.

Abbiamo ascoltato la prima lettura tratta dal libro della Genesi e poi il Vangelo. Tra queste due letture c’è un collegamento, ma purtroppo il testo della Genesi è stato tagliato in maniera tale che si viene a perdere un particolare fondamentale. Dice il testo: “In quei giorni Dio condusse fuori Abram” Fuori da dove? Lui stava in una tenda, stava nella sua tenda, ma poco prima era scritto che lui stava dentro la sua tenda perché era depresso, perché passavano gli anni e la promessa del figlio non si avverava! Aveva ormai quasi cento anni e la promessa gli era stata fatta a 75! Quindi Abramo va in crisi e dice: ho capito! Io morirò senza figli e il mio erede sarà Eliezer di Damasco.

Dio lo tira fuori: “Esci! Guarda il cielo, guarda le stelle! Contale se ci riesci! Tale sarà la tua discendenza.

E Abramo ci crede un’altra volta. Abramo è già partito da Carran per andare in un cammino che l’avrebbe portato dove lui non sapeva, ma parte perché si è affidato.

Abbiamo poi il Vangelo. Nel Vangelo di Luca si omette un particolare che sia Marco che Matteo sottolineano molto fortemente: prima di questo episodio della trasfigurazione si racconta che Gesù dice ai discepoli che andrà a Gerusalemme e lì sarà trattato malissimo, sarà contestato e ucciso.  Secondo Luca la cosa finisce lì. Nessuno parla. Invece sia in Marco che soprattutto in Matteo c’è una reazione fortissima da parte dei discepoli: “Questo non ti accadrà mai!” dice Pietro.

Gesù li porta allora sul Monte Tabor. Perché? Per pregare, perchè Gesù va in crisi, come Abramo, perché è tutto così difficile, perché è tutto così complicato, così pesante… va a pregare e mentre prega lui vive una sorpresa: Gesù viene trasfigurato dal Padre. Non si trasfigura da sé, viene trasfigurato da Dio che è suo Padre, ed appare la sua gloria, insieme a quella di Elia e di Mosè.

Pietro vedendo questa cosa così grande dice facciamo tre capanne, facciamo tre tende, facendo riferimento alla festa di Sukkot che ancora oggi Israele celebra.  Sukkot in ebraico significa capanne e in questa festa gli ebrei celebrano un momento forte costruendo capanne con il soffitto fatto di frasche. Le frasche consentono di guardare le stelle. Quindi Israele durante la festa di Sukkot ricorda non tanto che sono arrivati alla terra promessa, ma che hanno creduto ad una promessa, hanno creduto che ci sarebbero potuti arrivare, hanno creduto pur stando in una situazione sfavorevole, tremenda.  Hanno creduto che ci fosse questo intervento di Dio a loro favore e durante il tempo della festa di Sukkot loro leggono il profeta Osea che parla dell’amore, parla di un fidanzamento, parla di quella situazione in cui tanti di noi abbiamo iniziato la nostra esperienza cristiana, o l’esperienza di amore con una donna con un uomo. E ci si emoziona a ricordare i primi tempi, che erano quelli un po’ più difficili, ma che diventano mitici. Israele deve ricordare e lo deve ricordare anche Gesù, e lo deve ricordare anche Pietro, che dentro la precarietà c’è un intervento che ti segnala che Dio c’è, che Dio è grande, che Dio provvederà, che Dio ci sta coinvolgendo in un cammino che vale la pena fare. C’è un cammino in cui si riaccendono i colori e quando uno coglie la bellezza, che è una qualità profondissima di Dio, è una qualità spirituale che quando ci arriva ci cambia.

Benedetto XVI in una sua omelia scrisse così: la bellezza colpisce ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli ridona il coraggio di vivere fino in fondo il dono ultimo e unico dell’esistenza.

Noi pensavamo che ora, usciti quasi dal Covid, potevamo riprendere fiato. Invece c’è la guerra, e poi il costo della benzina, e le accise, e uno potrebbe dire: ma che vita stiamo facendo? Dove sta Dio? E’ tutta una fatica, una complicazione.

E’ necessario avere un momento di preghiera in cui cogliere che comunque Dio provvede e ci porta attraverso il deserto in una pienezza. Questo incontro cambia tutto come quando uno è innamorato. Quando fai contatto con questa realtà il tuo volto cambia d’aspetto. Vi ricordate che Caino aveva il volto triste? “Perché hai quella faccia?” gli dice Dio. Perché Caino è entrato nella tentazione e non ha saputo combattere, non è stato sincero con Dio, altrimenti Dio lo avrebbe aiutato, ma lui si è chiuso.

Questo capita anche a noi: “Mi hanno detto questo, mi hanno detto quest’altro, non ci credo più…”. Io ti dico continua, come Abramo che si è lasciato tirare fuori, scaraventare fuori da questo buco in cui si era incastrato. E’ evidente che la maggioranza, la totalità di noi dovremmo essere depressi, perché andiamo verso una vita sempre più complicata, quindi abbiamo bisogno di avere interiormente questa trasfigurazione, questo piccolo Tabor che dovrebbe essere la nostra coscienza. Oggi è questa celebrazione in cui Dio ti appare e vuole rimotivarti facendoti percepire la sua presenza che ti riaccende e ti consente di ripartire, sentendo che vale la pena, che c’è un senso che non sapresti come descrivere razionalmente. C’è questo impulso che viene prima della ragione, che è l’incontro vivificante di Dio nei nostri riguardi, quello dell’amore che è quello del profeta Osea che Israele legge durante la festa di Sukkot.

La festa di Sukkot si conclude il nono giorno con un momento che si chiama Simchat Torah, che è il giorno della gioia della Torah, il giorno in cui uno abbraccia la Torah. E’ per noi il giorno in cui si fa presente la vittoria sulla morte che Gesù porterà attraverso la sua passione morte e risurrezione per ogni uomo. Questo è il grande evento che viene preparato da questi lampi che ci rianimano. Noi abbiamo bisogno di sentire questo amore, di meditare questo, di crederci ancora.  Ricordate che ognuno di voi deve avere il suo piccolo Tabor, anche a casa, nei suoi momenti personali, quando sei in macchina… Quindi coraggio! E andiamo avanti nel Signore.