Facciamo tre capanne

25-02-2024 II domenica di Quaresima di don Fabio Pieroni

Mc 9,2-10

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Le prime parole del Vangelo sono “in quel tempo”; siamo nel capitolo 9 del Vangelo di Marco; girando la pagina indietro nel capitolo 8 si dice che Gesù stava tornando da Banias (che è nel nord) ed aveva domandato: “chi dite che sia il figlio dell’uomo?”; gli rispondono: “alcuni dicono che tu sia Elia, altri dicono che sei Geremia o qualcun altro dei profeti” e Gesù si rivolge agli altri: “e voi chi dite che io sia?”. Allora Pietro prende la parola e gli dice: “Tu sei il Cristo”, il figlio di Dio vivente. Gesù gli fa una serie di lodi e gli dice che ha detto queste cose perché ispirato dal Padre e Pietro rimane soddisfatto. Poi dice che stanno scendendo verso Gerusalemme dove ci saranno dei problemi gravissimi; Pietro allora dice di non andarci e chiede che senso avesse, perché non era il momento; e Gesù gli risponde: “vai dietro di me, satana!”.

Quindi “in quel tempo” è il tempo di crisi, di fraintendimenti, di indecisione, di confusione che Gesù stesso deve affrontare; così li porta su un monte: alcuni dicono che sia il Tabor, altri che sia l’Ermon. Una volta saliti lì, succede che le vesti di Gesù diventano candide, bianchissime; la Parola dice: “nessun lavandaio su questo mondo potrebbe renderle così bianche queste vesti” perché Gesù fu trasfigurato.

Oggi è la seconda domenica di Quaresima, che si chiama della trasfigurazione. Quando Pietro vede che Gesù viene trasfigurato, trasformato dal Padre suo, con questa veste bianchissima, questa luce così grande, dice: “è bello per noi, Signore, stare qui!”. Poi appaiono Mosè ed Elia ed è talmente bello, che Pietro tira fuori una frase strana: “facciamo tre capanne!” e infatti la Parola dice che “non sapeva che cosa dire perché erano spaventati”, cioè, ha visto qualcosa di grande in Gesù che non aveva colto precedentemente.

In ebraico capanne si dice “sukkoth” che è una delle tre feste più grandi di Israele: mentre noi cattolici-cristiani celebriamo la Pasqua e la Pentecoste, loro ancora oggi vivono anche la festa delle capanne, costruendo delle piccole tende fatte con delle frasche particolari, all’interno delle quali devono stare una settimana, almeno un paio d’ore al giorno. Questo è il segno della peregrinazione che Israele ha fatto durante il deserto, che è un tempo di trasformazione e serve una settimana per ricordare quanto avessero avuto intimità con Dio durante quel periodo così difficile. Noi potremmo dire che queste capanne sono il luogo della preghiera, perché quando si vede un segno di Dio, bisogna rifletterci. Ora sto facendo questa omelia e vi ho consegnato un quadernino affinché quando uscite, ci possiate scrivere qualcosa per riflettere, esaminare, considerare cosa possa significare quello che state ascoltando, come lo potreste tradurre con le vostre parole. Questa è la preghiera ed è molto importante!

Vi spiego un segreto purtroppo po’ strano, ma vero: nella nostra vita, così come nella mia, non esisto solamente io e gli altri, ma anche il demonio, che ci parla. Domenica scorsa abbiamo un po’ parlato della prova, di come uno può cadere nella tentazione e oggi stiamo parlando di come parla Dio: la differenza tra Dio e il demonio è che quello che dice il demonio si capisce subito; Dio no, è più difficile. Il demonio ti fa credere di essere una cretina e pensi che te lo dice sempre tua madre e ci credi subito; questa menzogna ti si imbullona dentro l’animo e non si toglie più. La parola di Dio è più difficile: bisogna difenderla, accoglierla, rifletterci, scrivere, pensarci fino al livello della bellezza. Le cose di Dio hanno una bellezza che è una autoevidenza, una gloria (dice Giovanni), cioè un peso, un valore straordinario. Per cui quando noi contempliamo le parole che dice Gesù, se non arriviamo a coglierne il significato fino al livello della bellezza, non si possono imprimere dentro di noi, perché solamente le cose belle, che ci commuovono, si trasmettono nella nostra coscienza più profonda. Questo bisogna farlo nella capanna, in un atteggiamento di raccoglimento, di memoria, di lavoro; non possiamo vivere sempre superficialmente, come delle farfalline; a volte bisogna avere questo momento personale del Tabor, della preghiera, della contemplazione.

Un ultimo passaggio: Pietro, Giacomo e Giovanni si accorgono che Gesù conversava con Mosè ed Elia di quello che avevano vissuto nel capitolo precedente, cioè di che senso potesse avere la missione di Gesù, se avessero avuto a che fare con il male e con le difficoltà. Gesù parla della sua morte e della sua risurrezione, ma non avevano capito che cosa fosse davvero, così come non lo avete voi, bisogna lavorarci. La risurrezione che appare nell’umanità di Gesù non è il fatto che alla fine diventa come “robocop”, lo distruggono e continua a camminare, si risveglia, ma è poter vivere nell’esistenza umana il mistero Pasquale, cioè avere davanti il tipo di persona che ti aspetteresti da tuo marito, da tua moglie, dal vescovo, dal sacerdote, che ha un livello di umanità, di accoglienza, di pazienza, di sensibilità, di consistenza tale da riuscire a portare le difficoltà, i problemi, i peccati, le offese e rimanere vivo, che riesce ad accettare questo e a capirti. Questo è un uomo nuovo, questo è Cristo risorto!

Cristo riceve questo pezzetto di risurrezione nella trasfigurazione per poter entrare nella sua missione di difficoltà, di opposizione, per portare dentro di me e dentro di te questa novità nel nostro essere uomini e donne. La normalità della nostra esistenza umana è vivere per noi stessi; non possiamo vivere diversamente, perché siamo imprigionati nel dover assolutamente badare a noi stessi, al nostro io, alla nostra incolumità, al nostro comfort; dobbiamo stare attenti ai soldi che poi vengono a mancare e viviamo un’angoscia tremenda, pensiamo a chi ci risponde male o non ci dice niente, ci ha guardato male e ci stiamo male tutto il giorno. L’uomo risorto è invece una umanità che regga di fronte a questo, che assorba i problema e rilanci con qualcosa di bello, è quello che ci aspettiamo dagli altri e non lo troviamo; per questo soffriamo, per questo la gente si separa e  maledice il giorno in cui è nata. Gesù dice di fare attenzione, di lavorare sul grande mistero della trasfigurazione, che è una cosa impressionante. E’ importante capire che risorgere dai morti non è essere infrangibile, invulnerabile, che ti rimbalza tutto e vai avanti, essere una versione potenziata dell’egoismo umano; questo è un grande malinteso; le parole di Dio sono più difficili di quelle del demonio, che parla una lingua che conosciamo, ovvia, di basso livello. Le parole di Dio bisogna non solamente comprenderle, ma poi addirittura crederle, poi viverle e infine maturarle. Questa è la preghiera, questa è la vita spirituale; su questo noi dobbiamo progredire, perché l’uomo pasquale, l’uomo dell’esistenza nuova, della vita nuova non si improvvisa, ma deve fare un percorso sofisticato e importante, così come vi sto dicendo. La nostra umanità ha bisogno di questa formazione e di questo aiuto che Israele ha vissuto nella capanna e poi nei suoi santi e nella sua santa Chiesa.