Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori.

18-04-2025 Venerdì santo di don Fabio Pieroni

Gv 18,1-19,42

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Siamo riuniti dentro questa celebrazione che si sta prolungando a partire da ieri, nella quale abbiamo ricevuto un grande segno che dobbiamo custodire; immagino che chi l’ha vissuta in maniera più profonda avverta proprio un eco interno che con la preghiera dobbiamo alimentare: effettivamente dopo la sera di ieri, nella mattina di oggi c’è stata data la possibilità di approfondire attraverso la preghiera. La celebrazione di oggi si è aperta con un segno drammatico che la Chiesa non vuole nasconderci, ma va direttamente al punto di questo urto, questo andare a sbattere contro la croce. Tra poco, dopo aver pregato abbondantemente, ci sarà il rito dello svelamento della croce: se uno volesse un po’ pensare, uno potrebbe dire che siccome Gesù è Dio, è il salvatore, non ci sarà; sicuramente non sarà stato intrappolato anche lui dalla croce, dalla sofferenza, dalla violenza; è possibile, come in un gioco di prestigio che uno apre e non c’è nessuno; invece no, vedremo che c’è Cristo. Lui è lì proprio perché è il salvatore, perché anche Lui è stato intrappolato; anche lui condivide la sorte maledetta degli uomini: pur essendo Dio, anche Lui deve cedere davanti a questa prepotenza della morte che abbiamo visto arrivare addosso ai presbiteri, quando siamo entrati, per far presente che nella nostra vita c’è il segno della croce: è il segno della fine, del binario morto, della resa, della chiusura l’uno per l’altro, dove uno non ha più le energie né le motivazioni per andare avanti, perché la frattura è insanabile, perché uno dice “basta”, è finita, non è possibile andare avanti.

Ecco, questa è la croce della quale dobbiamo parlare: potremmo parlarne nel senso del patibolo, luogo della tortura che riguarda Gesù. In realtà la croce che Gesù va ad evidenziare è quella piccola grande croce, che è sempre tale, che ci maledice la vita, che ci fa strisciare per terra, che ci chiude: come fa? Che cosa si chiude? La relazione: si può continuare una relazione quando c’è prepotenza, indifferenza, violenza, insulto, quando c’è un tradimento, un’insufficienza, un trauma, una diagnosi?

Ognuno di noi deve sapere che arriverà la sua croce e lì troverà Gesù Cristo. Perché sta lì? Per accompagnarci laddove noi siamo alla fine, dove l’uomo è finito: da quel momento in poi inizia il cristianesimo e non è una magia, non è che attraverso una preghierina io vengo abilitato a poter stare allegramente dentro la croce, non è mai una passeggiata, lo sappiamo tutti; quando arriva la mia ora, la tua ora, c’è il momento di entrare dentro questo tipo di preghiera che oggi noi stiamo vivendo, una preghiera profonda, seria, comunionale, in cui veniamo sollevati attraverso  dei cantori, dei presbiteri, dei fratelli; questo per fare in modo che lo spirito che Gesù Cristo vuole far entrare dentro la nostra natura umana vulnerata dal peccato, venga trasfigurata, abilitata a vivere dentro questa novità, in modo che la vita di Gesù Cristo dentro la croce non si spegne, va avanti, e noi insieme con Lui, il quale ha reso partecipata, partecipabile, questa forza dell’amore, della creatività, della vita dentro la morte. Allora è vero che dentro un matrimonio ci può essere tanta delusione e arriva Gesù Cristo nella misura in cui noi studiamo e approfondiamo; non possiamo pensare che agisca in noi, senza di noi, ed in maniera automatica, magica, ma ci vuole un lavoro. Sappiamo però che c’è questa energia, questa motivazione che è l’amore di Dio, è la risurrezione: questa natura divina che Lui ci vuole trasmettere non si corrompe, non può essere pervertita, e diventa quella che i santi chiamano la “scientia crucis”, cioè la scienza della croce, la sapienza della croce, cioè la sapienza dell’amore.

In un brano famosissimo, San Paolo ha tradotto il discorso della croce, che per noi è sempre fuorviante, perché ci fa pensare immediatamente al patibolo, a quanto più uno soffre tanto più è cristiano ed entriamo in una deformazione che ci ammala tutti quanti. In realtà la logica e la scienza della croce è la scienza dell’amore, della passione. Infatti abbiamo ascoltato la passione che è l’amore inteso non tanto come un sentimento, ma come un’energia di vita, una voglia di trasmettere la vita, che poi San Paolo traduce con la carità: “la carità è paziente, è benigna, non si adira, non mette la fine, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia”; questo non è un proposito, ma il frutto dell’esperienza spirituale: noi siamo convinti che nella misura in cui predichiamo, approfondiamo, confessiamo lo Spirito di Dio vi conceda, ci conceda dentro i nostri nuclei familiari e le nostre comunità, le nostre relazioni, questa capacità di andare di là di quello che ti viene detto o di quella persona che non ti ha guardato, perché in te c’è una nuova civiltà. Questa è quella che noi dobbiamo assolutamente desiderare e testimoniare; in molti di voi già vedo questa creatività, generosità, radicalità, questa fede: un grande atteggiamento di fiducia, di confidenza, di abbandono.

San Paolo in un’altra lettera dice proprio così: “insultati, benediciamo, perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati… il rifiuto di tutti, fino ad oggi… ma portiamo questo tesoro in vasi di creta”. E’ necessario chiedere questo spirito quando stiamo in difficoltà; è inutile solamente chiedere aiuto, ci vuole un aiuto soprannaturale che noi crediamo che esista, perché noi crediamo che Dio ci sia: Lui lavora dentro la parrocchia, dentro la predicazione, dentro il lavoro che fanno i suoi inviati, che saremo noi; questo bene enorme produce una comunione, una risurrezione dalla morte, un andare lontano dall’insulto, un continuare dentro la violenza e l’indifferenza che l’altro ci ha provocato. Questo è il Cristo che noi seguiremo durante la via crucis.

La devozione popolare ha voluto applicare la propria intelligenza, i propri sentimenti, la propria contemplazione, la propria preghiera a considerare come Gesù cammina dentro la sua passione, che è la gloria. Che cosa è stato glorificato attraverso la risurrezione di Dio? Questo modo di essere, questo modo di vivere che Gesù ha inaugurato nella passione: ciascuno di noi che è cristiano in questo mondo non può manifestare la gloria se non attraverso l’amore, che tante volte è significato da una ferita, una fregatura che uno ha preso; si potrebbe essere incline a leggerlo come una sfortuna, uno sbaglio; invece nessuno che entri nella relazione di Dio e dell’amore può non fare conti con la ferita, con la prepotenza che volentieri porta su di sé, perché la gloria di Dio si manifesti riguardo agli altri. È quello che abbiamo letto nella prima lettura, nel quarto canto del servo di Jahvè.

Ciascuno di noi sa che già sta vivendo delle cose simili di quelle che sto dicendo o le vivrà, tocca a tutti noi: piccole o grandi croci ci aspettano; lì incontreremo quello che i Padri antichi chiamavano l’Ostiario del Paradiso: la parola ostia significa la porta, colui che ti prende alla fine, come stai alla fine, dove sei finito, per aprirti un inizio del tutto insperato, non calcolato, non previsto, come una grande sorpresa. Questa, di volta in volta, è la nostra esperienza spirituale.

Continueremo quello che stiamo dicendo attraverso la preghiera molto articolata che riguarda proprio il cuore della Chiesa che ha la preoccupazione per tutte le Chiese; quindi pregheremo per delle intenzioni che ci aiuteranno ad allargare il cuore cattolico della nostra Chiesa, della nostra parrocchia. Poi ci sarà lo svelamento della Croce, perché è la profezia di quello che è avvenuto, avviene e avverrà quando noi dovremo fare i conti con le nostre difficoltà, i nostri errori: una croce potrebbe essere anche il fatto che hai fatto una cosa terribile, hai sbagliato gravemente; lì c’è questo Ostiario del Paradiso, cioè Gesù Cristo, quello che ti apre la porta verso una vita assolutamente nuova, che è la vita cristiana.