Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani

20-10-2019 XXIX domenica del Tempo Ordinario di don Fabio Pieroni

Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

L’argomento di questa domenica non è la preghiera, intesa come “bisogna pregare”, ma preghiera nel senso che bisogna continuare a pregare, bisogna rimanere in preghiera, perchè normalmente ci si stanca.

Abbiamo ascoltato nella prima lettura, che Mosè è in preghiera con le braccia alzate mentre Giosuè sta guidando l’esercito degli israeliti in battaglia contro Amalek. Ma Mosè si stanca di pregare, e vengono in suo soccorso Aronne e Cur i quali prendono una pietra, la collocano sotto di lui per farlo sedere e poi, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostengono le sue mani.

La seconda lettura parla di un ragazzo di nome Timoteo e del suo maestro Paolo. Timoteo  è in crisi e Paolo deve combattere: “Timoteo, figlio mio, ricordati di ciò che ti ho detto! E’ molto importante per insegnare, convincere, correggere, formare alla giustizia. Quindi, mi raccomando, non lasciarti cadere le braccia!”

Il vangelo ci parla di un terzo combattimento: una vedova che prega il suo avversario, un giudice che non decideva perchè non credeva in Dio e a cui non importava di nessuno.

C’è un parallelismo tra questa vedova, Mosè e Paolo: tutti combattono perchè c’è un giudice che non decide. E’ importante che decida e si abbia la fede sulla terra! Amalek è questo personaggio implacabile che forse potrà essere vinto dalla preghiera di Mosè. Timoteo sta vivendo una crisi, rischia di mollare tutto e il suo catechista Paolo lo cerca, lo esorta, lo avverte: cosa stai facendo! E’ pericoloso! Quello che ti ho insegnato è fantastico e se tu lo valorizzi, sarà utilissimo per insegnare, correggere, convincere, formare alla giustizia… Se tu ti decidi, sbocci come persona!

Chi è questo giudice implacabile che non decide? Chi è questo giudice superficiale? Sei tu! Siamo tutti noi che non ci decidiamo a fare un atto di fede, un atto cioè che ci consenta di collegarci con le indicazioni che Dio ci dà.

Sei tu che non decidi! Non ti decidi e lasci che le cose vadano come vadano, e tutto diventi tiepido, tutto sia incerto. Non c’è un atto di fede, cioè un atto di alleanza con la sapienza di Dio che per gli uomini è stoltezza, è qualcosa di inutile, è un combattimento.

Ogni celebrazione da parte nostra è un combattimento dove la Chiesa ti dice: prendi questa Parola, deciditi, credila, perchè Dio ti vuole bene, è dalla tua parte! Se tu fai un atto di decisione dentro di te, riparte tutto! Se invece mentre io parlo tu non ti identifichi in questo combattimento, è tutto inutile.

Noi abbiamo un senso di autodifesa verso la verità, spesso inconsapevole, che non ci fa muovere di un millimetro.

Decidi tu!

La Chiesa vorrebbe sposarsi con te, ma è vedova, ha un avversario che è ciò che ti impedisce di convertirti, di entrare nella comunione con Dio. Il tuo avversario è anche l’avversario della Chiesa.

Mosè è Cristo che prega perchè ti arrivi un po’ di pace e tu smetta di essere Amalek! Paolo è Cristo che prega perchè tu non sia Timoteo in difficoltà, ma un Timoteo testimone e martire! La vedova è Cristo che prega perchè questo giudice, che siamo noi,  alla fine faccia giustizia, si decida a fare una cosa buona.