Andarono dunque e videro dove egli dimorava

17-01-2021 II domenica del Tempo Ordinario di don Fabio Pieroni

Gv 1,35-42

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

In questo vangelo vengono toccati tantissimi temi. Innanzitutto c’è Giovanni che fissa lo sguardo su Gesù. Il verbo greco utilizzato indica che si tratta di uno sguardo che non è di sfuggita, ma che cerca di cogliere il senso più profondo che sta nelle persone, è quel dono dello Spirito Santo che si chiama “Intelletto” (intus legere = leggere dentro le cose). Dice: ecco l’Agnello di Dio! Con queste parole vuol far scoprire qualcosa di importante. L’Agnello è il protagonista fondamentale che rende possibile la Pasqua, che è un cambiamento straordinario della realtà.

Poi va avanti e c’è un continuo riferimento alla necessità di tradurre le cose: Rabbi che significa maestro, Cefa che significa Pietro, Messia che significa Cristo. Ci sono cose che non si capiscono e che c’è necessità di spiegare. C’è ancora qualcosa di straordinario perché dice il vangelo che “erano le quattro del pomeriggio”. Secondo il conteggio romano era l’ora decima. Alcuni dicono che era l’ora in cui venivano sacrificati gli agnelli, ma gli agnelli venivano sacrificati all’ora nona e non alla decima. Allora è molto più probabile che siccome esistevano delle tabelle a seconda dei mesi che indicavano il momento in cui si entrava nello shabbat, e in alcuni mesi lo shabbat iniziava intorno alle quattro del pomeriggio.  Quindi è probabile che questa annotazione, visto che poi i discepoli “rimangono”, “si fermano”, “si riposano”, indichi che entrano nello shabbat. Quindi si sta parlando dello shabbat?

C’è poi questa iniziativa di Gesù che cambia il nome a Pietro, lo chiama Cefa che vuol dire pietra che è qualcosa di potente e che ha a che fare con la Chiesa.

Ora, tutte queste cose hanno un senso organico. Bisogna avere una chiave per leggere questo vangelo e per fare in modo che ci dica qualcosa: dobbiamo scoprire che Cristo è l’agnello, cioè colui che permette all’umanità di fare la Pasqua. La Pasqua è un cambiamento che ci consente di vedere come le cose hanno un significato profondo, ci consente di essere toccati nell’intimo per cambiare identità. Non siamo più gli uomini vecchi di ieri, ma nella misura in cui viviamo la Pasqua c’è un cambio, c’è l’assimilazione di una modalità pasquale, di chi finalmente si è liberato di se stesso e si occupa di altro. C’è una comunione nuova con questo Agnello. Riposare non è solamente entrare nel riposo, nella pace, nella pienezza, ma ci dà anche una unione. Noi abbiamo un posto nella Pasqua di Cristo, ogni giorno! E non possiamo perdere questo posto. Ogni giorno abbiamo bisogno assoluto di uscire dall’oppressione del nulla, del faraone, della chiusura in noi stessi. Dobbiamo entrare in questa dinamica. Solo la Chiesa può consentire alla persona umana di fare Pasqua, cioè di farci vivere in Cristo, spostare il nostro baricentro, vivere il nostro nome nuovo, stare in una comunione e uscire fuori dal non-senso che la vita a volte ci mette di fronte. Ogni celebrazione è una Pasqua, un cambiamento, un salto di qualità, quel pezzettino che sembra poco, ma che invece è tanto, che ci rimette in piedi, quel piccolo sollievo che ci fa sentire questa dimora. Dimorare in Cristo è un’espressione mistica, è l’esperienza di una interiorità reciproca che non viene dall’uomo ma dalla Trinità. Nella Trinità si vive questa comunione speciale che ci dà consistenza. “Dove abiti?” vuol dire “cosa ti dà consistenza? Dove prendi vita? Qual è il tuo mistero?”.

Il vangelo ci suggerisce delle domande giuste: dov’è che noi abbiamo bisogno di cercare il nostro centro che non possiamo abbandonare e se lo abbandoniamo precipitiamo?

La Pasqua non ci mette in una stasi, ma in una dinamica costante in cui noi viviamo e ci relazioniamo con gli altri.