Il verbo si fece carne

25-12-2016 Natale del Signore di don Fabio Pieroni

Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».  Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

Proviamo a lavorare su questa festa  che rende presente un evento di 2000 anni fa: la nascita di Gesù Cristo. Evidentemente questo non è solamente un evento avvenuto storicamente, ma è un evento che attraversa la storia ed arriva fino a noi attraverso una celebrazione. La Chiesa può cioè celebrare questo evento nel senso che lo può rendere presente e può renderci contemporanei in questo istante a questo evento attraverso la liturgia, di modo che arrivi a noi un pezzettino almeno di questa efficacia, di questo incontro che ogni uomo deve avere con Dio in Cristo.

Per  celebrare la nascita di Gesù ci sono 4 messe diverse, la vespertina, quella della notte, quella dell’aurora e quella del giorno. Questo sta ad indicarci che la Chiesa, il vangelo, Dio  ci invitano a non semplificare troppo le cose, ci chiamano a ragionare, ad approfondire, a lavorare, a riflettere, a pensare. Questo è un aspetto interessante dell’essere cristiani: la Chiesa pensa stando dentro un atteggiamento di adorazione, cioè di relazione con la  realtà di Dio e questo pensiero ci viene oggi partecipato; guardando Cristo la Chiesa, attraverso san Giovanni, ci dice che il Verbo era Dio e che la Parola si è fatta carne: e il verbo si fece carne  e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria. Una cosa grandiosa!

Vedete, qui non è scritto che il Verbo si fece uomo, è scritto che il Verbo si fece carne. Qual è la differenza? Dio ha creato l’uomo, ma l’uomo attraverso il peccato originale si è come degradato, è stato ferito. Nell’uomo quindi si è attivata una dinamica autodistruttiva. L’uomo così come è oggi, nel mondo in cui viviamo, è limitato, è frustrato dalla sua fragilità: basta che uno ti dica mezza parola e tu diventi una belva, basta che le cose non vadano come tu ti immagini, già vai in crisi completa, se devi prendere una decisione hai paura di esserti incastrato… L’uomo fatto carne è debilitato in maniera tale che vive in una infelicità, in una frustrazione e rende infelice chi gli sta intorno, non perché ha un carattere di un certo tipo, ma perché è afflitto da questa menomazione che gli è stata comunicata attraverso il peccato. Noi siamo nello stato della carne, sarx in greco, che non è il sesso, è proprio l’uomo debilitato. L’intervento di Dio, quindi, non è sul mondo che è in difficoltà, ma è sull’uomo nello stato carnale. Il Verbo si è fatto carne, cioè ha accettato di incastrarsi dentro questa realtà che apparentemente non ha vie d’uscita. E la notizia è questa, che malgrado il Verbo si sia fatto carne, noi vedemmo la sua gloria, cioè Cristo è riuscito ad esprimere dentro la carne il meglio di quello che dovrebbe essere l’uomo, è riuscito a vincere, a disattivare l’operazione che la carne produce nell’uomo. Cristo ha assunto questa realtà svantaggiosa ed è riuscito a manifestare la gloria, cioè a far vedere che l’uomo può andare oltre se stesso. Il Verbo, Cristo, vince il peccato, cioè vince il potere che il male ha sulla carne assumendolo fino in fondo. Questa novità, questa disattivazione del male che ci fa la carne e la possibilità di andare oltre ci può essere comunicata. Questa realtà non è solamente di Gesù, non dobbiamo solamente contemplarla in lui. In lui noi possiamo vedere chi siamo noi, possiamo vedere che siamo chiamati a diventare persone che superano il livello carnale e vengono abilitate a poter amare, a poter vivere, a poter essere felici, in una dimensione che però non è idealistica, non è di perfezionismo, non è una dimensione apollinea in cui uno dice: io sono finalmente salvo, sono pienamente cristiano per il fatto che sono assolutamente perfetto. Questa è un’idea che stravolge il senso della gloria che viene manifestato nell’uomo attraverso Gesù. Ciascuno di noi può essere una persona che riceve questa grazia della liberazione dal potere della carne, perché Gesù Cristo si fa carne anche in me, vuole farsi carne in me, deve farsi carne nella mia carne. Posso essere fecondato da questa novità che è Gesù Cristo. Dentro questa fecondazione io posso alzare la testa, posso finalmente diventare me stesso, aiutato e sostenuto dalla Chiesa. Allora fiorisco in una vita che finalmente corrisponde ai miei desideri più alti senza però immaginare di svolgere una vita assolutamente perfetta. Tanto è vero che molti di voi già sono testimoni del fatto che Cristo abita in loro. Molti di voi potete dire: Cristo abita in me! Io avverto che questo incontro con Cristo c’è stato, mi sta aiutando, mi sta dando quella risorsa, quella pazienza, quell’umiltà che io da solo non potrei darmi. Questo è il mistero dell’Incarnazione, cioè non solamente il fatto che Gesù si fa carne, ma che si fa carne nella mia carne, nella tua carne, nella tua fragilità, nel tuo essere permaloso impaurito, arrabbiato; costantemente sta accanto a me e a te per assorbire questo disagio,  superarlo e proiettarci verso una statura che da soli non potremmo darci. La Chiesa cattolica, la parrocchia, presiede a questa trasformazione, ci accompagna, ci sostiene, e ci invita a guardarci in Cristo. Gesù ci dice: vuoi capire chi sei? Vuoi capire quale sarà il tuo futuro? Vuoi capire come funzioni? Guarda me! Io sono come te! Io voglio che tu capisca chi tu sia guardando me! Tu sei stato fatto come me! Tu hai bisogno di credere e di relazionarti col Padre mio! Come faccio io! Sapendo che sei nato e non morirai mai più! Sei nato perché c’è qualcuno che ti ama, ti vuole, ti desidera, per quello che tu sei. Fatti dire da me chi sei tu! Non dal mondo. E se tu entri in relazione con me, sarai salvo, cioè completo, sostenuto da una forza che non è solamente la tua volontà, i tuoi sforzi, la tua nevrastenia… no è la nostra relazione, la relazione che io ho con te, gratuitamente, perché ti amo!

Questa visione ci apre al futuro, ci apre alla vita, ci apre anche ai problemi, perché Cristo non ci toglie i problemi, ma ci consente di viverli insieme con lui, con la sua forza, con la sua umiltà, con la sua fragilità, ma insieme con lui. Se noi viviamo questa vita che è brevissima, è velocissima, insieme con lui, non solamente viviamo meglio, ma siamo chiamati anche a vivere una vita che sfonda la realtà di questa storia e si prolunga in una vita di eternità. Ecco, allora il Natale è un inno alla vita, una vita che vale la pena di essere vissuta anche nella carne. Uno potrebbe dire che l’uomo che vive nella carne è un maledetto che non ha scampo, che fallirà costantemente, che sarà sempre annoiato ed  infelice…  E‘ possibile invece che dentro la carne ci sia la gloria di Dio! Questa è la notizia del cristianesimo, questa è l’operazione che dobbiamo fare noi come preti, come catechisti: portare l’uomo Gesù Cristo. Questo incontro è fecondante, fa crescere in noi una statura nuova. E’ chiaro che questa relazione si può spezzare, possiamo allontanarci. Il rimedio fondamentale diventa quello della comunione, del camminare insieme, quello di aggrapparsi con tutte le forze all’intuizione che Cristo questa mattina mi dice: “Io voglio farmi carne in te, e insieme con te vedrai la mia gloria e la tua gloria, riceverai grazia su grazia. Da questa pienezza tu riceverai tanto, che però va colto, assimilato”.

Dobbiamo saperci nutrire di queste piccole grandi grazie e la Chiesa ci deve aiutare in questo. Vedete che Gesù Cristo oggi è celebrato fragile, come anche a Pasqua. C’è sempre una fragilità, c’è sempre un’incompletezza, c’è sempre qualcosa che non ci convince fino in fondo perché noi abbiamo in mente che se l’uomo deve essere salvato, deve essere assolutamente perfetto, deve raggiungere la perfezione greca, la perfezione apollinea, e questo tante volte ci svia, ci fa sottovalutare le cose che già noi stiamo vivendo. Riflettiamo allora su tutto questo in questa settimana. Domani celebriamo la morte del martire Stefano, ucciso con la lapidazione. Perché questa festa di sangue dopo la bellezza del Natale? Perché celebriamo la morte del santo Stefano? Perché la Chiesa ci vuole dire che in lui Cristo davvero si è fatto carne ed ha manifestato la sua gloria, una gloria che è stato l’amore nei confronti di Paolo, di Barnaba, dei suoi nemici. In lui non si è visto solamente un uomo debilitato nella carne, ma chi è un figlio di Dio. Questo è la vita umana: manifestare la gloria di Dio. Ognuno di noi ha naturalmente il suo stile, ognuno ha la sua originalità, il suo modo di interpretare Gesù Cristo, ma ciò che è importante è avere il suo DNA che si muove dentro le nostre cellule, perché solo allora noi possiamo arrivare al nostro compimento. La nostra vita potrebbe anche essere breve, può essere sufficiente un’opera, e noi dobbiamo compiacerci in questo, non dobbiamo sottovalutarci. Io vi invito a credere che la soluzione dei nostri problemi sta nella relazione con Cristo, in questa intuizione, in questa frequentazione, in questo approfondimento, in questa cura. Noi a volte siamo sbadati, grossolani, superficiali, perché siamo presi da tante cose ed allora abbiamo bisogno che qualcuno ci faccia un servizio e che questa persona ci faccia sentire il suo calore, non solamente la sua intelligenza. Non parli solamente alla testa, ma parli alla profondità del tuo essere perché venga rinnovato, riscaldato, rigenerato. Questa è la conseguenza del Natale. Io spero che ciascuno di noi tenga veramente a che la sua vita interiore cresca di giorno in giorno, perché ciascuno di noi ha bisogno di vivere meglio in un mondo dove tutto è difficilissimo. La soluzione è incontrarsi con Cristo, crescere con lui, vivere con lui, amare con lui; allora la nostra vita diventa un capolavoro.