Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me

20-09-2015 XXV domenica del Tempo Ordinario di don Fabio Pieroni

Mc 9,30-37

Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.  Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà».  Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?».  Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.  Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti».  E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Questo vangelo famoso parla di una delle solite camminate di Gesù: Gesù mentre cammina insegna. Sta parlando della sofferenza, di quello che gli sta per accadere, sta facendo una sintesi di quella che sarà la sua vicenda umana terrena, che culminerà sicuramente nella risurrezione, ma che deve essere caratterizzata da un urto con la sofferenza.  Arrivati a Cafarnao, in casa, Gesù chiede ai discepoli: “Di cosa stavate parlando tra di voi? Voi non avete capito quello che vi ho detto mentre parlavo della croce.  Evidentemente dal discorso che state facendo tra di voi dipende la comprensione o meno del discorso sulla sofferenza”.

“Stavamo discutendo di chi fosse tra noi il più grande”.

E allora Gesù dice: “guardate, chi vuol essere il primo sia l’ultimo e il servitore di tutti”. Poi Gesù prende un bambino lo mette nel mezzo, lo abbraccia e dice: “Chi accoglie un bambino, accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”.  Questa è la sintesi del vangelo.

Ci sono molti malintesi legati a questo vangelo. Il primo malinteso è che a Gesù piaccia la sofferenza, che seguire Gesù è legato al fatto che tu debba amare la sofferenza, debba entrare nella sofferenza. Questo è un primo punto sbagliato. Il secondo malinteso è pensare che di fronte al desiderio di grandezza che tutti noi abbiamo, la risposta sia: no! Devi essere ultimo! Abbassa la cresta, datti una calmata, chi ti credi di essere? Non ti mettere in testa di fare cose grandi…

Non è questo il senso di quanto abbiamo ascoltato!

Ciò che sta sottolineando Gesù è legato al piacere. Cosa ti dà piacere? Che cosa ti entusiasma?  Dal discorso che i discepoli fanno tra di loro si comprende che ciò che li gasa è evidenziare chi sia il più grande; c’è un  piacere che nasce dalla rivalità, che ci viene insegnato in tutte le salse, e che noi  assecondiamo pienamente. A partire dallo sport. Lo sportivo, soprattutto il tifoso,  è colui che gode della perdita dell’altro: se io ti schiaccio, ti umilio, ti distruggo, ti faccio vedere chi sono, godo da pazzi, e in questa competizione esplode un senso di realizzazione, di piacere. Molto spesso anche nelle relazioni familiari, paterne, filiali, coniugali c’è la gara a chi ha l’ultima parola. Oppure, al contrario, ci può essere l’umiliazione:  io sono stato messo in minoranza e non ho saputo reagire, sono un babbeo, non mi faccio valere… Vedete, sia dalla parte del vincente che del perdente c’è una dinamica in cui uno cerca di essere il più grande, o il più piccolo.  In questa logica la sofferenza non ci può stare. In questa logica uno può anche sentirsi dalla parte di Cristo, potrebbe voler diventare vescovo, diventare papa, diventare un grande predicatore solo per vincere gli altri, per avere più cliccate su Youtube, su Facebook, per essere più importante, più visibile. Questa è una logica che sottende tantissimi comportamenti.

Gesù allora dice: “Attenzione, se voi volete capire me ed un giorno addirittura entrare nella sofferenza, questo non significa che io voglia portarvi alla mediocrità”. Infatti prende un bambino e lo abbraccia. E’ un segno profetico attraverso il quale Gesù dice: “Io sono venuto perché mi appassiona tanto far crescere gli altri, riscattarli dalla loro mediocrità, dalla loro indigenza, dalla loro ignoranza. Io non voglio che la gente venga manipolata, strumentalizzata, che ci si approfitti delle persone più spaesate. Io vi voglio dare  una dignità, io sono venuto per questo, per curarmi delle persone insufficienti”. Un bambino  è la persona ottusa, è il poveraccio, è la persona che è rimasta a metà, è la persona che è ancora la caricatura di se stessa. E’ anche una generazione, è anche un popolo che non ha alcuna cultura perché viene ipnotizzato dallo sport, o da una cattiva informazione. Allora il cristianesimo è la passione di chi scommette la sua vita perché la vita degli altri sia accesa, sia illuminata, e se questo mi dovesse comportare anche una sofferenza, soffro, non perché sono appassionato della sofferenza, ma perché  sono appassionato della vita, desidero che la vita ti venga trasmessa, ti venga accesa dentro. Per fare questo, ecco che allora Cristo dice: “Se il vostro piacere è vedere persone che ad un certo punto crescono e danno dei frutti, allora siete in comunione con me, allora mi state accogliendo, allora ci stiamo capendo. Altrimenti non ci capiamo. Se voi pensate che io vi stia potenziando per schiacciare gli altri, per essere più intelligenti, per vantarvi di voi stessi, per rimanere da soli, non ci stiamo capendo”. Però è facile che noi, piano piano, torniamo a questo tipo di  logica che è la logica di chi trova piacere nell’affermarsi sugli altri.

Ecco cosa significa prendere un bambino, non è una cosa poetica, significa che la mia missione, la mia passione, il mio piacere, il mio vanto sarà quello di aver dato la vita a questi poveretti, perché gli altri li ridicolizzano, se ne disinteressano, anzi, sono pure contenti che siano rimbambiti perché così io posso fare il  mio gioco. Se uno si appassiona, si preoccupa del fatto che gli altri vengano riscattati dall’ignoranza, dalla stupidità, allora è cristiano, altrimenti no! Puoi anche essere virtuoso, non dire neanche una parolaccia, ma se questo tu lo fai per schiacciare gli altri, per disprezzare gli altri, per vantarti, non sei cristiano.

Che farà tra poco Gesù nell’Eucaristia? “Ti do il mio corpo, tu hai bisogno del mio corpo, della mia anima, del mio sangue, del mio tempo, perché tu possa rimanere vivo. Quello che mi interessa sei tu, e in questo sta la vera felicità, in questo sta la sintonia con lo Spirito Santo”. E allora l’Eucaristia ogni volta ci strappa da questa forza gravitazionale che ci porta a farci gli affari nostri e ci collega nuovamente con questo flusso vitale che dovrebbe caratterizzare la vita di un uomo vero, di una donna vera, che non è quella di chi sta sempre a fare polemica, o di chi fa continuamente la vittima. Non c’è più questa schiavitù pazzesca di doversi sempre misurare. E’ un’altra cosa.