Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli

02-11-2015 Commemorazione dei Defunti di don Fabio Pieroni

Mt 5,1-12

Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.  Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

La celebrazione della commemorazione dei fedeli defunti ci mette di fronte a questa realtà senza mezzi termini. A volte quando si parla di questa situazione si dice: è mancato ai suoi cari… ha un brutto male… No, qui si parla della morte, nuda e cruda. Questo discorso della morte è talmente pazzesco, assurdo, che si può affrontare solo attraverso Gesù Cristo. Noi ogni domenica in realtà celebriamo la Pasqua, durante tutto l’anno liturgico Gesù celebra la Pasqua, nell’ultima cena. Però questa sera noi dobbiamo renderci conto che non stiamo solamente pregando per i nostri cari defunti. Dobbiamo prendere la sapienza, la forza, la consapevolezza, la capacità di pacificarci di fronte a questa realtà, necessarie per aiutare chi un domani, vicino a noi, sarà chiamato a vivere il momento più  difficile della sua vita, che è quello della malattia e della morte. Siamo capaci a fare questo? Non possiamo sempre nascondere questa tematica e improvvisare quando poi accade, ma ci vuole una preparazione.

Inoltre un domani, speriamo lontano, arriverà  il giorno in cui toccherà a te, toccherà a me fare i conti con la morte. Dobbiamo prepararci a questo. Quando una persona si prepara a questa realtà guardandola in faccia succedono tante cose. La prima cosa, per una persona lucida mentalmente, è lo sgomento. Diceva un filosofo: io non ho problemi con la morte, perché quando c’è lei io non ci sono e quando io ci sono, lei non c’è. Io sono vivo, che mi importa? Ecco, uno potrebbe anche giocare così, ma non è possibile!

Allora vedete, il momento che noi viviamo questa sera è legato a una realtà anticipata da tante difficoltà che noi ci troviamo ad affrontare e che ci tolgono la bellezza dell’esistere, la mettono in crisi. C’è tutta una problematica che anticipa la morte, e allora abbiamo un bisogno assoluto di capire quanto sia importante Gesù Cristo dentro questa situazione.  Noi sappiamo una cosa: se è vero che viviamo un epoca in cui l’umanità è disumana, ci accorgiamo spesso che per umanizzarci dobbiamo fare i conti con ciò che sembra togliere dignità all’uomo, cioè la morte. Quante volte quando torniamo da un ospedale, torniamo da un contatto con una persona sofferente, siamo più umani, ci è successo qualcosa. Cristo ha voluto certamente riempire la nostra esistenza della sua presenza, ma ancora di più ha riempito di sé la sofferenza e la morte. Nessuno di noi sa bene che cosa ci sia dentro la morte, perché nessuno di noi è ancora morto, però sappiamo che quando siamo entrati nella sofferenza, siamo usciti fuori con una ricchezza più grande; quando abbiamo accompagnato qualcuno nei suoi ultimi momenti, lì abbiamo ricevuto qualcosa di spirituale, qualcosa di grande, di impressionante. Cosa è stato? L’essere ridimensionati? L’essere consapevoli di cosa sia la ricchezza della vita che viviamo? Non si tratta solo di questo, ma del fatto che la qualità della relazione che si è instaurata con la persona che stava soffrendo e morendo, ha riacceso in noi un parametro in cui noi dovremmo davvero vivere ogni giorno della nostra vita.

Spesso noi ci addormentiamo, diventiamo insensibili, spietati, superficiali, e allora quando appare la realtà che San Francesco chiamava Sorella Morte, questa durezza, questo atteggiamento da giustiziere rientra, e ci calmiamo. Alcune persone purtroppo per capire questo non hanno bisogno che muoia una sola persona… ma tante. Quando una persona viene a contatto con la morte è come se piano piano si svegliasse da un profondo sonno, rendendosi conto che la sua vita deve cambiare, si accorge che la sua vita è stata visitata da qualcosa di strano, dalla cosa più brutta che avrebbe mai pensato di incontrare e scopre che non è così! Bene, questo è un punto importante sul quale dobbiamo fare memoria. Sono sicuro che chiunque di voi ha avuto a che fare con questa situazione, ha avuto le stesse sensazioni che vi sto descrivendo, solo che spesso ce le dimentichiamo e torniamo ad essere le bestie che siamo.

Tante persone lontane da Dio e dagli uomini diventano nuove solo quando sono visitate da questa esperienza. Noi questa estate siamo stati in Sicilia, nella cattedrale di Palermo, al sepolcro di questo grande sacerdote che si chiama Padre Pino Puglisi. Una sera Padre Puglisi arrivando sotto casa trovò il suo killer che  lo stava aspettando; questi gli ha messo una mano sulla spalla, padre Puglisi  si è girato, lo ha guardato e gli ha detto: “Me lo aspettavo”. E gli ha sorriso. Il killer gli ha sparato mentre lui gli sorrideva. Questo assassino, uno dei più spietati di Cosa Nostra, non dormì per cinque anni, ricordando quel sorriso. Dopo cinque anni è andato alla polizia e si è costituito, ha confessato tanti suoi omicidi. Da quell’incontro con una persona che affrontava la morte in una maniera cristiana, lui ha ricevuto una risurrezione. E’ molto forte la figura di questo Padre Puglisi, su cui hanno fatto anche un film molto bello e che fa presente quello che sto cercando di spiegare. Quindi noi dobbiamo entrare in questo ordine di pensieri.

Inoltre abbiamo ascoltato il vangelo, lo stesso di ieri, che ci parla delle beatitudini. Le beatitudini sono un modo di essere sani, felici, lieti, in quella che è una situazione che normalmente produce solo angoscia e disperazione: la povertà, la persecuzione, l’afflizione, gli insulti… C’è un modo di entrare nella morte, c’è un modo di vivere la povertà, c’è un modo di vivere l’afflizione, c’è un modo di vivere la malattia in cui noi diventiamo felici, diventiamo beati. Possiamo trasformare il male in bene, attraverso Gesù Cristo. Nella misura in cui uno entra in maniera mite di fronte a questa aggressione che ci viene dalla morte e dalla malattia, nella misura in cui uno vive questo in Cristo, come lui ha vissuto l’incontro con la morte, allora sperimenta una beatitudine. Questa beatitudine consiste nell’anticipare una vittoria che ci permette di vivere a testa alta dentro la morte e che poi ci consentirà di vivere pienamente nella vita che verrà, perché la nostra risurrezione ha due tempi: il primo tempo su questa terra, dove possiamo vivere una situazione di maledizione totale, attraverso Cristo, in una dignità che è sorprendente. Ma c’è un secondo tempo, quello del quale ci parlava la lettura dell’Apocalisse, perché questa maniera nuova di vivere il presente è l’anticipo di una pienezza che verrà in una nuova dimensione che noi non conosciamo e che si chiama il Cielo, si chiama Dio, si chiama la Gerusalemme celeste, con tutto quello che è il giudizio, l’inferno, il paradiso, il purgatorio.

Noi preghiamo gli uni per gli altri, perché ci saranno momenti in cui queste cose che stiamo dicendo le dovremo vivere. Certamente noi preghiamo ora per i nostri defunti, con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze, ma non è questo il punto decisivo. Oggi qui siamo pochi, perché la maggior parte delle persone fa grande fatica ad affrontare questo discorso che sto facendo, però chi ci sta già dentro o chi già ci ha fatto i conti, lo capisce. Lasciamo che tutto questo che stiamo dicendo ci dia la nostra vera dimensione, che non è quella di una persona inutile, ma di una persona che in Cristo ha in sé la vittoria, ha in sé la capacità di dare un senso alle cose che non hanno senso.