Lettera di quaresima 2021

20-02-2021 di don Fabio Pieroni

L’imposizione delle ceneri, che segna l’inizio della Quaresima, porta con sé diversi significati.
In primo luogo, la cenere è quel segno che rende presente l’esito finale di un processo di combustione. La cenere è quindi ciò che rimane dopo un incendio, quando il fuoco ormai si è spento. L’impressione che lascia è desolante. In senso traslato, ciò significa che quando la Chiesa ci pone la cenere sul capo auspica che prendiamo coscienza, una volta di più, della nostra caducità.

La cenere sulla testa è quindi consapevolezza che l’esistenza umana porta in sé un guasto, una sorta di malattia degenerativa, che la consuma dall’interno, per ridurla pian piano in cenere. Questo malessere coinvolge tutto quello che viviamo: dalle relazioni con noi stessi a quelle interpersonali, dalle opere che intraprendiamo ai buoni propositi che ci prefiggiamo. Si tratta di un dinamismo che agisce per così dire in noi senza di noi. La nostra esperienza di fatto è che gli entusiasmi si raffreddano, i ricordi si dissolvono, le emozioni sbiadiscono, la salute deperisce, i legami si allentano, le motivazioni si spengono.

Essere ridotti in cenere, è il rischio che incombe su ciascuno di noi, la possibilità di assecondare questo processo: lasciarci logorare e incattivire dalla cattiveria, farci ridurre a non fidarci più di nessuno, né dei nostri fratelli né di Dio stesso, per arrivare alla triste conclusione che a pensar male degli altri si fa peccato ma ci si azzecca sempre. In questo modo prendono piede il sospetto e l’invidia che posso minare la comunione con i nostri fratelli. Possiamo perfino convincerci che anche qui in Parrocchia alla fine ci sono figli e figliastri. Il fuoco amico comincia a logorare la cosa più sacra che abbiamo ricevuto da Dio: la comunione.

Prendere atto che tutto ciò possa riguardare anche in noi è inquietante, perciò preferiamo la strada dell’alienazione a quella dell’analisi.

All’inizio della Quaresima, però, la Chiesa, invitandoci a porre sul nostro capo la cenere, vuole indurci a fare proprio il contrario e anche di più. La Chiesa, attraverso la Quaresima, annuncia a noi tutti che è capace di farci passare non solo dall’alienazione all’analisi ma dall’analisi alla conversione. Ciò significa che c’è un tempo per ogni cosa. C’è il tempo dell’alienazione, cioè la resistenza a lasciarci mettere in discussione, il rifiuto nei riguardi di coloro che ci rimandano un’immagine problematica ma realistica di noi stessi. C’è poi il tempo dell’analisi, che certamente è un passo avanti rispetto al primo perché ci obbliga a prendere atto delle problematiche che ci affliggono, ma rischia di farci ripiegare ossessivamente su noi stessi. C’è infine il tempo della Quaresima, cioè il tempo della conversione, il tempo propizio per accogliere e assecondare l’unica possibilità che abbiamo di salvezza: Gesù Cristo Parola di Dio. L’unico vero rimedio alla morte che ci portiamo dentro e che abita ogni giorno della nostra vita è quindi Gesù Cristo risorto dai morti.

Durante la Quaresima la Chiesa camminerà al nostro fianco. Insieme a Lei gioiremo e soffriremo, ammireremo e ci entusiasmeremo nel contemplare le parole e i gesti di Gesù nella Liturgia, nella preghiera all’interno delle nostre comunità e insieme ai nostri fratelli che il Signore ci ha messo accanto e dei quali siamo anche responsabili. La Quaresima è dunque un’opera di Dio e della Chiesa, perché i nostri “recettori” della grazia divina vengano risvegliati e sensibilizzati. Tutti i nostri sensi vanno quindi concentrati non più sull’alienazione né tantomeno sull’analisi di noi stessi che ad un certo punto va sospesa, ma sulla autentica conversione. La conversione ci porta a disinteressarci di noi stessi per protenderci verso un Altro. Questo sguardo sollevato verso di Lui ci consentirà di fare i nostri nuovi passi nella vita cristiana: potremo camminare sulle acque, innamorarci più profondamente di Cristo, fare nostro il Suo modo di rapportarsi alla realtà per sentirci via via più liberi, più maturi, più uomini e donne nuovi, perché partecipi alla Pasqua di Cristo morto e risorto.

La necessità dell’intervento di Dio a favore di questa fragile umanità è motivata dal fatto che nessuno di noi può risolvere per conto proprio questo problema che la cenere simboleggia. Ciò che abbiamo descritto infatti è legato non solo alla libertà umana ma anche a un mistero nascosto, che è annidato nell’esistenza di ogni uomo e che la Scrittura definisce il “Mistero dell’iniquità in atto”.

In realtà purtroppo la conversione che è la radice della rigenerazione non è così interessante per l’uomo della carne come lo è il suo opposto, cioè la distruzione. La distruzione di cosa? Del nostro rapporto con Dio e con i fratelli delle comunità alle quali apparteniamo.

Teniamo sempre in mente la storia di Caino. Una volta subita a torto o a ragione un’ingiustizia Caino colpirà e Abele morirà, ma prima di aver ucciso Abele e sé stesso ha ucciso la paternità di Dio, rimuginando si è chiuso in un diabolico mutismo e chiudendosi in se stesso è divenuto discepolo del padre della menzogna che gode per la distruzione di ogni cosa. Così dice il libro della Sapienza riguardo al diavolo e ai suoi discepoli: La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.

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Il secondo significato della cenere che vogliamo sottolineare è collegato al tema della polvere. Questo legame è attestato dall’antica formula del Mercoledì delle Ceneri, valida ancora oggi, che dice letteralmente così: “Polvere tu sei e in polvere ritornerai”.

Dobbiamo però prendere coscienza che la polvere, per la Bibbia, è sorprendentemente un materiale pregiatissimo. La polvere è un termine che appare insistentemente, proprio all’inizio del Libro della Genesi, quando si racconta la creazione dell’uomo. Non a caso Adam in italiano significa terra, perciò potremmo dire: Adamo cioè il Terroso. È a partire dunque dalla terra, che Dio crea l’uomo, infondendole il suo soffio, cioè il suo Spirito, la sua Parola. È a partire da un uomo privato della sua anima e disumanizzato che Dio continua con rinnovato vigore attraverso la Chiesa la Sua opera di umanizzazione in Cristo.

Se questo è vero dobbiamo rivalutare la nostra polvere, la nostra fragilità, il nostro senso di inconsistenza. È questa polvere, che Dio cerca in noi per iniziare la sua opera di risurrezione, così infatti ha scritto San Paolo: Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono.

La polvere è quindi segno della nudità dell’uomo, l’uomo al livello della sua fragilità. Se alla Quaresima consentiremo con umiltà di scardinare i nostri meccanismi di difesa, perché venga alla luce la nostra fragilità e perfino il nostro peccato, allora Cristo potrà scrivere in essa la sua Parola di amore che nessuno conosce se non colui al quale viene consegnata nel segreto. Così è stato per l’adultera quando Gesù le scrisse sulla polvere quelle parole d’amore che nessuno ha potuto mai conoscere. Gesù ha voluto che rimanessero nel loro segreto, il segreto dell’unione sponsale.

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Torniamo ora al primo significato della cenere, quello che fa presente l’inquietante e inesorabile sgretolarsi del tutto. Nel suo mistero pasquale il Cristo ci ha salvati dal peccato. Tuttavia, Cristo non ci ha salvati “togliendo la cenere”. La salvezza, quindi, non è una vita “senza più la cenere”.

È il momento di fugare tanti malintesi. L’umanità nuova non consiste né in un Apollo né in una Venere ma in Gesù, che è l’uomo delle beatitudini. Ma l’uomo delle beatitudini non è certo l’uomo dal basso profilo, l’uomo mediocre che si accontenta, senza intraprendenza, che non dice mai la sua, perché convinto che non abbia mai nulla da dire. L’uomo delle beatitudini invece è l’uomo lieto, colui nel quale viene acceso il fuoco dell’amore di Dio il fuoco del lucernario della Veglia pasquale, il fuoco che arde nella sua divino-umanità.

Se seguiremo davvero il percorso della Quaresima, ogni volta che ci guarderemo allo specchio per fare il punto della situazione, vedremo in noi non il campione imperturbabile, ma Gesù, l’uomo qualunque che assume i problemi degli altri; non vedremo l’eroe navigato ma Gesù, che nella sua ingenuità non riesce a farla franca perché non è quello che a Lui interessa; non vedremo colui che alla fine se la cava, ma Gesù, che si è fatto mettere le mani addosso da coloro che l’hanno tradito; non vedremo colui che è sempre all’altezza della situazione ma Gesù, che si mette all’ultimo posto, perché non è sé stesso che è venuto a cercare, ma la pecora perduta.

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Se ci pensiamo un attimo: non è Gesù che già vediamo in noi quando ci guardiamo allo specchio? Non è Lui che dobbiamo benedire in noi? Non è forse vero che la nostra delusione è aspettarci una salvezza che consista nella capacità di dire l’ultima parola, di farla franca, di non avere problemi, di non sentirci addolorati perché abbiamo rischiato troppo nell’affidarci senza riserve a chi alla fine se n’è approfittato?

La Quaresima mette insieme la cenere e lo Spirito, e la sua amalgama è Cristo Gesù in noi, che il Padre ha innanzato alla sua destra.

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