Incontri culturali

Di che speranze il core vai sostentando?

La domanda la rivolgeva Giacomo Leopardi al suo caro amico Carlo Pepoli. Come buoni amici dobbiamo aiutarci nel ritornare su questa
domanda in cui ci giochiamo tanto del nostro vivere.

Come scriveva il papa emerito Benedetto XVI nella sua enciclica Spe Salvi, “L’uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell’uno o dell’altro successo determinante per il resto della vita.”

La stessa natura umana è strutturata come attesa di un compimento, come promessa di un bene futuro e questo nostro tratto costitutivo è tanto evidente nella curiosità dei bambini, nell’inquietudine di un adolescente. Accade però che crescendo questo atteggiamento si guasta, tanto che è quasi impossibile trovare adulti che non siano almeno un po’ permeati di scetticismo.

La speranza non sembra reggere di fronte alle fatiche dell’esistenza, di fronte al male che incombe, al caos che ci restituisce la cronaca quotidiana, e quand’anche le speranze si realizzano, “appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto” scrive Benedetto XVI, ossia sperimentiamo una delusione. Ed è allora che la domanda dell’amico Leopardi viene a scuoterci rimettendoci davanti a ciò di cui siamo fatti: noi siamo attesa. Ma che cosa possiamo ragionevolmente attendere? L’attuale situazione di confusione, rende questa domanda ancora più urgente. È possibile sperare? E in cosa?

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