Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore.

29-04-2018 V domenica di Pasqua di don Fabio Pieroni

Gv 15,1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.  Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli»

Abbiamo ascoltato questo vangelo. Siamo nel tempo della cinquantina pasquale, durante la quale si parla della risurrezione, dei frutti della risurrezione e di come si può attingere alla risurrezione. Queste cose vanno comprese e allora oggi nella V domenica di Pasqua abbiamo letto un pezzettino del discorso che Gesù fa durante l’ultima cena. Durante l’ultima cena Gesù parla tantissimo, tanto che anche la prossima domenica continueremo a leggere questo discorso. Questo discorso è molto importante perché ha l’intento di farci comprendere che il frutto della Pasqua, cioè della vittoria di Cristo sulla morte, è un evento comunitario. Non è qualcosa che riguarda Cristo individualmente, ma è una cosa che riguarda noi. Noi siamo ammalati di individualismo, che è il virus del bastardo, cioè di chi non ha il padre; la nostra tendenza è essere figli di nessuno. Per questo motivo quando ascoltiamo le parole della consacrazione, preferiamo sottolineare l’aspetto: questo è il mio corpo, ma non è questa la cosa che Gesù vuole evidenziare. Noi dovremmo scoprire che ciò che vuole dire Cristo è: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi! Tutto attaccato! Non ha senso il corpo di Cristo se è slegato da questo. Questo pensa Gesù di se stesso.

Quindi se la risurrezione non ha una ricaduta sulla gente, su di noi, non ha alcun senso, perché Gesù nella Trinità già stava benone. Lui vorrebbe che la risurrezione venisse partecipata alla gente normale, che siamo noi.

Noi però siamo persone spiacevolissime, impossibili. E’ difficile che qualcuno ci addomestichi, ci consenta di partecipare ad un dono, perché siamo bastardi, figli di nessuno. Ecco perché nel tempo pasquale si parla tanto del pastore e del gregge! Gesù, attraverso la sua passione, morte e risurrezione realizza la Chiesa, la vera creazione, la nuova creazione. Il fatto che Gesù sia risorto significa che sta collegando, facendo partecipare la gente, l’umanità, noi tutti, alla vita divina, e questo lo fa attraverso la Chiesa. Quindi il punto fondamentale è la comunità: una Chiesa gregge, una Chiesa che sia una vigna. In Israele è difficile trovare un terreno adatto per coltivare una vite, ma la vigna è molto importante per Israele, perché la vigna non dà le cose essenziali, dà la qualità, vuole dare qualità alla vita di questo paese. Non c’è una festa in Israele dove non ci sia il vino.  Questo è il significato del paragone della vigna che fa Gesù: essere una vigna che produce vino buono, cioè la gioia, l’allegria, la comunione, la festa. E allora la convinzione di Cristo è che attraverso la Chiesa in un quartiere possa esserci un miglioramento della qualità della vita delle persone che ci abitano. Realizzare la Chiesa è allora una grande opera di amore per la gente.

Se il risultato della risurrezione è la vigna, noi dobbiamo concepirci come una vigna e dovremmo scoprire che l’opera di Dio e anche l’opera di un prete, è quella di un vignaiolo, quella di un agricoltore che dovrebbe essere competente nel portare la gente ad una unione con il tronco della vite attraverso il quale scorre questa linfa vitale che è la qualità della vita. Noi innanzitutto dovremmo convertire il nostro modo di pensare la Chiesa e la comunità, che non è un sistema di potere, non è una caserma, non è un luogo in cui tutti sono indottrinati. La vigna è una cosa del tutto diversa che dovrebbe poi produrre il vino cioè la qualità. Noi dovremmo poter constatare che chi entra dentro una comunità cristiana diventa migliore di prima e il suo miglioramento è soprattutto di carattere umano: è più simpatico, più normale, meno randagio. Questo è successo a Paolo! Nella prima lettura si parlava di questo tizio che si chiamava Saulo. Saulo significa “grande”. Dopo l’incontro con Cristo si chiamerà Paolo, che significa “piccolo”. Questo tizio viene individuato da Barnaba che dice: se questa persona la mettiamo dentro la comunità cristiana, diventerà migliore! Smetterà di produrre veleno, rabbia, violenza. Barnaba non sapeva che Paolo sarebbe poi diventato quello che è diventato, però sapeva che la sua comunità di Gerusalemme era dentro la vigna del Signore, ed era una realtà nella quale questa persona, se si fosse inserita, sarebbe stata più contenta. Questo dovrebbe essere la nostra convinzione di parrocchiani, essere consapevoli che se io porto qui quell’amico mio, troverà qualcosa di buono per la sua vita.

Non sempre però è così, perché la gente non si comporta come un tralcio. La gente quando la pizzichi, cioè quando la devi potare, tagliare, legare, coltivare, reagisce! Dobbiamo imparare a rimanere dentro la vigna come delle persone che vengono custodite e coltivate dai vignaioli. Questi interventi a volte non sono facili: Paolo ha dovuto soffrire, e ha fatto soffrire Barnaba. Negli Atti degli apostoli si racconta la storia di Paolo e Barnaba che litigano alla grande. Dobbiamo convertirci alla realtà. Gesù ci dice: tu sei in una vigna, comportati da tralcio di modo che la tua persona non sia di intralcio a chi vuole essere tralcio. Noi siamo tutti collegati nella vigna! Questa è un’idea del tutto diversa dal fatto che vengo qua, prendo la messa, poi compro le pastarelle, e buonanotte… Ci sono persone a cui non si può dire niente, perché dentro la vigna c’è anche il cinghiale del bosco che devasta la vigna del Signore. Non è facile rimanere nella vigna: Gesù dice 94 volte nel vangelo di Giovanni “rimanete in me e io in voi!”. Dobbiamo rimanere insieme, dobbiamo farci guidare. Stare nella Chiesa non è una questione di privacy, di cui non dobbiamo rendere conto a nessuno, eventualmente ci confessiamo e basta. Ma sapete perché uno si confessa ad un prete? Perché il prete è il simbolo della comunità. Siccome tu dovresti chiedere perdono a tutti, Cristo ti dice: parla almeno con uno.

Cristo è diventato il tronco della vigna per essere attraversato dalla linfa del Padre e poter dare a noi tralci quella qualità che ci consente di dare il vino. Tutti cercano il vino!

Questa parola è da approfondire: la vite e i tralci. Io devo concepirmi come qualcuno che è coltivato da Dio attraverso i suoi mediatori e immaginate che responsabilità hanno questi mediatori, i pastori. Se il pastore non è competente e pota male le persone, impedendogli di ragionare, di pensare, le distrugge. E’ una cosa molto grave. Ma se io poto una persona e l’oriento verso la vita allora l’ho beneficata. Questa è la preoccupazione di Gesù e anche ciò che lui sogna.