Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me

22-04-2018 IV domenica di Pasqua di don Fabio Pieroni

Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.  Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.  Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».  

C’è una domenica speciale che ci fa riflettere su questa creazione nuova che fa parte dei doni pasquali. Gesù istituisce questo ministero del pastore nel cenacolo, mentre istituisce l’eucarestia e questo ruolo è fondamentale, ma ha bisogno di essere chiarito. Ricordate che fece molto scalpore un discorso del papa nel quale disse che il pastore deve avere l’odore delle pecore e che bisognava che il pastore realizzasse una specie di ospedale da campo.

Quando vi sono cambiamenti nella storia e nella Chiesa, c’è bisogno di nuove sottolineature, perché vengano date delle risposte nuove a problemi nuovi. Non si possono dare risposte antiche a problemi nuovi perché altrimenti  non si ha un buon pastore. Il buon pastore non è quello caruccio, ma è colui che è pertinente, necessario, opportuno per la salvezza del popolo in quella determinata situazione storica con certi problemi. Il papa prende molto sul serio la metafora del pastore che non esaurisce tutto il significato del presbitero, ma sottolinea un aspetto fondamentale: chi è il presbitero, parola che viene dal greco e che significa “il più anziano”, il più maturo? Il confessore? Il direttore spirituale? Il biblista? Il catechista? Direi specificatamente nessuno di questi, perché la genialità del presbitero, secondo la metafora di Gesù, non è quella di fare catechesi, fare confessioni, fare lo studioso, il biblista… fare il pastore è molto più difficile! Il parroco, il pastore è colui che deve creare la comunità. Un pastore non si definisce senza le pecore. Un pastore è a servizio delle pecore. La comunità non può essere una mandria sbandata, ma necessita di armonia, di comunione, una koinonia .

Questa è una cosa difficile, perché è piuttosto semplice parlare alle singole persone, ma quando queste persone si intrecciano, cambia tutto. Nelle relazioni tra le persone, come avviene per esempio in alcune reazioni chimiche, si creano cose nuove, inaspettate, molto complesse. Se noi mettiamo insieme aceto e bicarbonato si produce una nuova sostanza che si chiama acetato di sodio. Le pecore non sono come l’olio e l’acqua che rimangono slegate, ma creano una lega, una interazione che deve essere gestita, governata dal pastore, il quale deve garantire che si realizzi la comunità cristiana, cioè la Chiesa. Questa è la cosa più difficile del mondo perché non solamente ci vogliono competenze bibliche, filosofiche , psicologiche, ecc, ma ci vuole un’opera dello Spirito straordinaria. Solo quando appare la  Chiesa si vede Dio, solo quando appare la Chiesa uno può essere salvato, perché si crea un ecosistema all’interno del quale una persona può vivere il cristianesimo. Senza ecosistema il cristianesimo è impossibile. Il Concilio Vaticano II ha voluto cercare di trasmettere ai cristiani un tipo di cristianesimo non più individualistico, ma comunitario, ma ancora non ci siamo, perché mancano i pastori.

Il prete è spesso un funzionario del sacro, non un pastore! Non serve a nulla avere preti così nella nostra società, in questa richiesta, in questo bisogno di comunione, di approfondimento, di verità. Non basta più questo. Per poter realizzare questa competenza del buon pastore sono necessari carismi : il pastore per essere tale ha bisogno di carismi, di doni. Un dono per un presbitero è per esempio  la clausura: rimanere presbitero, cioè rimanere con la voglia di fare il prete, perché si può perdere la voglia, come si può perdere la voglia di essere marito, moglie… Un presbitero non è un superuomo, può crollare.

Il presbitero ha certamente un ruolo di governo: il governo, la cura da padre è una competenza che si acquista durante il ministero a contatto con la gente con le pecore, con i loro problemi, in una situazione che è quella odierna di mutazione antropologica.  Soluzioni antiche non si possono più proporre a problemi nuovi. Certe relazioni sono talmente sconclusionate e producono sofferenze incredibili, spesso non per colpa delle persone ma per l’ecosistema che è completamente alternativo rispetto a 40 anni fa. La cultura cristiana di allora è finita.

Il papa sta lavorando su questo, sta dicendo: guardate che dobbiamo crescere tutti perché è un momento di grande trasformazione che non sappiamo dove ci porterà, non sappiamo come reggeranno le famiglie. Quindi capite che il ruolo del parroco, del pastore, non è facile.

Il rinnovamento della Chiesa passa attraverso il rinnovamento della storia, questo è un punto fondamentale sul quale sta ragionando il papa, il nuovo Vicario e sul quale dobbiamo ragionare anche noi perché non si può dare un nuovo prete senza un popolo nuovo, senza persone un po’ proattive.

Su questo dobbiamo in modo maturo reagire, interagire, soffrire, perché bisogna che questa metamorfosi della Chiesa si realizzi sia a partire dal discorso del presbitero, ma anche dal popolo di Dio: ci sono tante persone importanti, necessarie per la Chiesa.

I sacramenti, la messa, non servono a niente se non servono ad edificare la chiesa. Gesù non dice “questo è il mio corpo” ma dice “questo è il mio corpo spezzato per voi”. Mai Gesù si concepisce fuori della comunità, mai si propone “adoratemi!”. Questo è il grande mistero della comunione che il pastore deve alimentare e proporre.